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I livelli essenziali delle prestazioni (Lep), sono al centro del dibattito per l'attuazione dell'autonomia differenziata

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Qualcuno si chiederà perché non si procede ad attuare i cosiddetti livelli essenziali delle prestazioni (LEP), considerato che sono la condizione alla quale non si vuole rinunciare per attuare l’autonomia differenziata.

Perché una parte del Paese, in particolare il Sud, si è posto di traverso, rispetto ad un’esigenza, che viene contrabbandata come una volontà di rendere più efficiente e più produttiva la spesa pubblica? Le Regioni sostengono che sarebbe meglio che esse gestissero le risorse provenienti dalla fiscalità generale, per molti dei temi che sarebbero oggetto dell’autonomia differenziata, oggi amministrati direttamente dallo Stato, come per esempio l’istruzione o la sanità, anche se molta parte di essa è gestita già dalle Regioni, con risultati non particolarmente efficaci.

In realtà questa legittima aspirazione sottende un profondo egoismo non svelato. In linea teorica non vi è nessuno che non sia d’accordo sul fatto che tutti i cittadini del nostro Paese abbiano gli stessi diritti di cittadinanza così come previsto dalla Costituzione italiana. Se chiedete a chiunque abiti a Bergamo o a Treviso se sia giusto che il diritto di cui usufruisce all’asilo nido per i suoi bambini debba essere riservato anche ai bambini che nascono sotto Napoli pensate che la risposta possa essere un no?

Io penso assolutamente di no ed allora qual è il vero motivo per cui i cosiddetti Lep (livelli essenziali) o per essere sofisticati i livelli uniformi (Lup) di cittadinanza alla fine non vengono estesi anche sotto Roma?

Il motivo è molto semplice perché se si procedesse, come si afferma nella volontà dichiarata universalmente, di adottare i livelli essenziali per tutti, a parità di crescita di Pil e quindi di reddito pro capite rispetto a quello che è accaduto negli anni precedenti, dovremmo cominciare a diminuire le prestazioni che sono state finora effettuate nei confronti dei cittadini del Nord e che si sono potuti avere in base a una distribuzione di risorse effettuata tenendo il riferimento alla spesa storica.

Per essere più chiari purtroppo, a parità di crescita degli anni precedenti, l’asilo nido di Reggio Calabria è in competizione con quello di Reggio Emilia, per cui ovviamente l’attuazione diventa complicatissima.

Perché se è possibile non dare qualcosa a qualcuno che non ha mai avuto un certo servizio è estremamente complicato toglierlo a chi ne ha usufruito per lungo tempo.

Se poi tale ragionamento viene esteso a tutto il settore dell’istruzione, alla sanità, alla infrastrutturazione, chiamata anche esigenza di perequazione infrastrutturale, ci si rende conto come l’attuazione dei LEP in tempi brevi sia una mission impossibile.

Per questo il tentativo di Calderoli di far andare l’autonomia differenziata indipendentemente dall’attuazione dei Lep, essendo il Ministro estremamente avvertito e molto conoscitore dei meccanismi della spesa pubblica, è disperato, e deve essere completato in tempi brevissimi.

Perché sa perfettamente che legare l’attuazione dell’autonomia ai Lep significa non completare mai il percorso che, Zaia, Fontana, Bonaccini e probabilmente altri Presidenti di Regione, vogliono per continuare a dare i servizi finora forniti, possibilmente migliorandoli, ai loro concittadini.

D’altra parte l’operazione verità fatta da Il Quotidiano del Sud, alla quale si sono aggiunti molti intellettuali meridionali, ha appalesato le storture di una spesa pro capite diversa a seconda del luogo in cui nasci.

Nel momento in cui la consapevolezza di tale situazione, documentata dai conti pubblici territoriali, voluti da Carlo Azeglio Ciampi, è avvalorata dalla realtà evidente che ciascun cittadino italiano vive, ed in particolare che i cittadini meridionali constatano con i loro occhi, ormai che i voli low cost hanno consentito a tutti di muoversi per l’Italia con molta tranquillità, c’è un sentimento di rivalsa e di richiesta di diritti e di giustizia che non può essere più trascurato.

Ed allora considerato che si è visto quanto una crescita con percentuali più consistenti sia difficile, e come il taglio degli sprechi sia praticamente impossibile, considerate l’ esperienza trascorsa, cosi come la lotta all’evasione fiscale, allora l’unico modo per rendere il sistema già esistente, che prevede un paese di serie A e di serie B, sia quello di fare in modo che lo prevedano delle leggi che invece di guardare al singolo individuo cominciano a fare riferimento ai territori, per cui ognuno si trattiene le risorse che produce, tranne un piccolo contributo di solidarietà a coloro che vivono nella realtà più disagiata.

Che questo possa essere il primo passo verso una forma di secessione leggera che può avere conseguenze letali per la nostra Nazione è un fatto che non viene considerato.

Qualcuno dice che probabilmente alcune forme di perequazione, per esempio quella infrastrutturale, possa essere fatta con le risorse che arrivano dal PNRR. I miei dubbi sul fatto che una realtà come quella del Sud, che soffre di un apparato amministrativo molto fragile, possa non usufruire adeguatamente di questo strumento sono tante.

L’ottimismo della speranza ci fa pensare a quell’ipotesi alternativa che preveda che gli investimenti del Sud diventino consistenti e che l’attrazione di investimenti dall’esterno dell’area diventi fatto acquisito per cui la seconda locomotiva, per ora ferma in un binario morto, possa produrre essa stessa le risorse per mettersi alla pari nei diritti di cittadinanza di coloro che pretendono di avere più risorse per una qualità della vita e dei servizi migliorata.

Spiegare agli italiani che quella dell’autonomia è una via di fuga, è una scorciatoia, che il Paese non si può permettere, è un obiettivo possibile se contemporaneamente si fa capire che la situazione che viviamo con questi livelli di difformità non può che essere provvisoria e che se dovesse continuare a lungo non può che portare a forme di egoismo, per alcuni versi forse legittimo, ma che porta alla spaccatura del Paese.


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