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I numeri del turismo sanitario dal Sud verso il Nord raccontano da anni la “malattia” del sistema sanitario del Mezzogiorno con cui i suoi cittadini sono costretti quotidianamente a fare i conti per assicurarsi le cure.

La pandemia ha mostrato all’intero Paese la gravità della situazione, certificando che il diritto alla salute si declina su base territoriale. La prima ondata è stata “contenuta” nel meridione, ma la seconda si annuncia molto più minacciosa, come dimostra il boom dei contagi in Campania e il tasso di ospedalizzazione dei pazienti Covid al Sud rispetto alla media. Mettendo alla prova un sistema già in forte sofferenza. E che da anni è costretto a fare i conti con una dotazione di risorse da parte dello Stato inferiore rispetto al resto del Paese, come dimostra anche la ripartizione del Fondo sanitario nazionale di quest’anno.

I NUMERI DEL DIVARIO

Qualche numero: per un pugliese, ad esempio, al termine del 2020 lo Stato spenderà complessivamente 1.826 euro pro capite, contro i 1.918 riservati a un emiliano e i 1.877 a un veneto. Per ogni lombardo, lo Stato destina 1.880 euro; per un campano, invece, 1.827. La Calabria veste i panni della “Cenerentola”, con appena 1.800 euro per ogni suo cittadino contro i 1.916 per ciascun friulano, i 1.935 di spesa pro capite del Piemonte o i 1.917 della Toscana.

Come accade ormai da oltre 15 anni, il Nord continua a prendere più soldi per i suoi ospedali, complice il meccanismo della spesa storica. Alla Puglia, 4,1 milioni di abitanti, dei 113,3 miliardi complessivi del fondo sanitario 2020, sono stati riservati 7,49 miliardi; l’Emilia Romagna (4,4 milioni di residenti) riceverà 8,44 miliardi: quasi un miliardo in più nonostante una popolazione quasi identica.

Prendendo in considerazione il Veneto (4,9 milioni di abitanti) la sproporzione resta, visto che la Regione di Zaia incassa 9,2 miliardi, quasi due in più rispetto alla regione di Michele Emiliano.

Il quadro della spesa pro capite fotografa chiaramente le disparità: per la salute e le cure di un pugliese lo Stato investe 1.826 euro, contro i 1.918 riservati ad un emiliano e 1.877 per un veneto. La Campania, 5,8 milioni di residenti, avrà 10,6 miliardi: 1.827 euro pro capite, mentre la Lombardia, che conta 10 milioni di residenti, riceve 18,8 miliardi – 1.880 euro per ogni sua cittadino – per la sua sanità che pur non ha dato una bella prova di sé durante l’emergenza Coronavirus.

La Calabria (quasi due milioni di abitanti) ottiene nella ripartizione del fondo sanitario nazionale da 113 miliardi solamente 3,6 miliardi: 1.800 euro per ogni cittadino.
Ancora: il Friuli Venezia Giulia, che conta 1,2 milioni di residenti, incassa 2,33 miliardi: 1.916 euro per ogni suo cittadino; il Piemonte, che pure negli ultimi anni come ha certificato dalla Corte dei Conti, non ha brillato nell’obiettivo di tenere sotto controllo la spesa sanitaria, incassa dallo Stato 8,33 miliardi per 4,35 milioni di abitanti: circa 1.935 euro per residente. Infine, la Toscana, 3,73 milioni di abitanti e 7,1 miliardi: 1.917 euro pro capite.

L’INCREMENTO

Negli ultimi 10 anni, poi, sempre le regioni del Nord hanno registrato un incremento percentuale del Fondo sanitario nazionale maggiore rispetto alle altre: tra il 2010 e il 2020, infatti, la quota della Lombardia è cresciuta dell’11,4%, l’Emilia Romagna del 9,9%; 8,2% in più per la Toscana.
La Basilicata, al contrario, ha avuto un incremento percentuale molto più modesto (+4,9%); l’Abruzzo del 6,7%; Calabria +5,7%; la Puglia e la Campania di circa l’8,1%.
Non solo: dal 2012 al 2017, nella ripartizione del Fondo sanitario nazionale, sei regioni settentrinali hanno visto aumentare la loro quota, mediamente, del 2,36%, mentre altrettante regioni del Sud, che erano già penalizzate perché beneficiarie di fette più piccole della torta dal 2009 in poi, hanno visto lievitare la loro parte solamente dell’1,75%, cioè oltre mezzo punto percentuale in meno.

Fatti i conti, quindi, dal 2012 al 2017, Liguria, Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Toscana hanno ricevuto dallo Stato poco meno di un miliardo in più (per la precisione 944 milioni) rispetto ad Abruzzo, Puglia, Molise, Basilicata, Campania e Calabria.

E chi volesse giustificare questo stato di cose con una migliore performance nella gestione delle risorse da parte delle Regioni del Nord troverebbe una facile smentita nei conti del settore sanitario che tra il 2018 e il 2019 registrano un peggioramento del disavanzo del 10 per cento: dai 990 milioni di euro del 2018 si è infatti passati a poco meno di 1,1 miliardi di euro nell’esercizio appena concluso.

LE RESPONSABILITÀ

Un peggioramento che, come ha certificato la Corte dei conti nel Rapporto 2020 sul coordinamento della finanza pubblica, è da ricondurre «in prevalenza alle Regioni non in Piano e a statuto ordinario, che vedono ampliarsi il disavanzo dai 69,1 milioni del 2018 ai 165,5 del 2019».
«“Un risultato – si legge ancora nella relazione – dovuto soprattutto al Piemonte, che quest’anno sembra chiudere l’esercizio con uno squilibrio di circa 79 milioni. Più limitati gli squilibri di Liguria, Toscana e Basilicata».

Le regioni in Piano, sostanzialmente quasi tutte quelle del Mezzogiorno, nel 2019 continuano a registrare un riassorbimento degli squilibri, mentre quelle a statuto speciale segnano un incremento più contenuto (+6,6 per cento), pur confermando il risultato fortemente negativo a cui fanno fronte immettendo risorse aggiuntive.

Le differenze tra le Regioni emergono anche dal numero del personale impiegato nella sanità: la Campania conta 5,8 milioni di residenti e può contare soltanto su 42mila operatori sanitari; in Puglia, dove si conta una popolazione di 4,1 milioni di abitanti, i dipendenti a tempo indeterminato impegnati negli ospedali supera di poco le 35mila unità, in Veneto (4,9 milioni) quasi 58mila, in Toscana (3,7 milioni) sono quasi 49mila, in Piemonte (4,3 milioni) sono 53mila, in Emilia Romagna (4,4 milioni) sono invece oltre 57mila mentre in Lombardia si arriva quasi alla soglia delle 100mila unità.


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