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Mentre le Regioni in Conferenza litigano sul prossimo riparto del fondo sanitario e i criteri da applicare, c’è già una brutta notizia per il Sud: i soldi continueranno a essere spartiti sulla base della spesa storica, quindi il Mezzogiorno continuerà a ricevere meno trasferimenti rispetto al Nord.

La notizia è arrivata martedì dal ministro per i Rapporti con il parlamento, Luca Ciriani, che, rispondendo alla Camera al question time sul tema delle autonomie presentato da Antonio Caso (M5S), ha detto: «In base alle ipotesi di lavoro predisposte dal ministro per gli Affari regionali e le autonomie, il criterio della spesa storica già sostenuta per le funzioni attribuite in attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, non altera, anche ove applicato in via transitoria, fino alla compiuta determinazione dei Livelli essenziali delle prestazioni, i Lep, la distribuzione delle risorse per le altre regioni o aree del Paese, né incide sui fondi perequativi. Nessuna Regione potrà ricevere meno risorse rispetto a quelle attuali, nessuna Regione potrà riceverne di più».

SPESA STORICA VELENOSA

Il nodo, però, è che il criterio della spesa storica, come dimostrato dalle inchieste del nostro giornale, è il principale artefice dell’iniquità nella ripartizione delle risorse. Vale in particolar modo proprio nel settore della sanità, dove i numeri, certificati dalla Corte dei conti, parlano chiaro e sono a prova di smentita: per esempio, dal 2012 al 2017, nella ripartizione del Fondo sanitario nazionale, sei Regioni del Nord hanno aumentato la loro quota, mediamente, del 2,36%; altrettante regioni del Sud, invece, già penalizzate perché beneficiarie di fette più piccole della torta dal 2009 in poi, hanno visto lievitare la loro parte solo dell’1,75%, oltre mezzo punto percentuale in meno. Tradotto in euro, significa che, dal 2012 al 2017, Liguria, Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Toscana hanno ricevuto dallo Stato 944 milioni in più rispetto ad Abruzzo, Puglia, Molise, Basilicata, Campania e Calabria.

Ecco come è lievitato il divario tra le due aree del Paese: mentre al Nord sono stati trasferiti 1,629 miliardi in più nel 2017 rispetto al 2012, al Sud sono arrivati soltanto 685 milioni in più. Basterebbero questi dati – certificati dalla Corte dei conti nella relazione sulla gestione finanziaria dei servizi sanitari regionali – per comprendere come il criterio della spesa storica continuerà a creare iniquità.

Le disuguaglianze sono ancora più palesi se analizziamo la spesa pro-capite: nel 2017, lo Stato mediamente ha investito 1.888 euro per ogni suo cittadino, tutte le Regioni meridionali, tranne il Molise (2.101 euro pro capite), spendono meno della media nazionale. In particolare la Campania (1.729 euro), la Calabria (1.743), la Sicilia (1.784) e la Puglia (1.798). La spesa pro capite più alta si registra nelle Province autonome di Bolzano (2.363 euro) e Trento (2.206), in Liguria (2.062), Val d’Aosta (2.028), Emilia-Romagna (2.024), Lombardia (1.935), Veneto (1.896).

NORD PRIVILEGIATO

Altri indicatori confermano che, ogni anno, il Nord ottiene maggiori trasferimenti da Roma destinati alla sanità: dal 2017 al 2018, ad esempio, la Lombardia ha visto aumentare la sua quota del riparto del fondo sanitario dell’1,07%, contro lo 0,75% della Calabria, lo 0,42% della Basilicata o lo 0,45% del Molise. Lo stesso Veneto nel 2018 ha avuto da Roma lo 0,87% in più.

Insomma, il Nord continua a ottenere più soldi rispetto al Sud, è un dato oggettivo e certificato. Lo dicono i flussi monetari analizzati dalla Corte dei conti negli ultimi otto anni: la Regione di Zaia, ad esempio, nel 2012 ha incassato 8 miliardi e 536 milioni, nel 2018 è passata a 8 miliardi e 913 milioni, circa 400 milioni in più; la Calabria, invece, nel 2012 ha incassato 3 miliardi e 454 milioni, nel 2018 è salita a 3 miliardi e 522 milioni, solo 68 milioni in più. E ancora: il piccolo Molise è passato da 570 milioni del 2012 a 571 milioni del 2018; la Basilicata da 1,023 miliardi a 1,036 miliardi, 13 milioni in più.

IL “CASO PUGLIA”

Un più equo meccanismo di attribuzione delle risorse consentirebbe anche alla Puglia di ricevere, in media, 250 milioni in più all’anno: è la cifra che l’Emilia Romagna, a parità di popolazione, ha incassato in più dal 2005 a oggi. Negli ultimi 13 anni ha ricevuto tre miliardi in più rispetto alla Puglia, a quasi parità di popolazione, come evidenziato nel rapporto “La finanza territoriale 2018”.

E nel 2021, nonostante sul fondo sanitario fossero stati immessi 2,7 miliardi in più rispetto al 2020, le Regioni del Mezzogiorno, in proporzione, come già accaduto negli ultimi 20 anni, hanno continuato a incassare una fetta più piccola della torta.

Alla Puglia, che conta 4 milioni di abitanti, su 116,29 miliardi complessivi, sono stati dati 7,64 miliardi, l’anno scorso ne ricevette 7,49, quindi +240 milioni. L’Emilia Romagna (4,3 milioni di residenti), ha ricevuto 8,79 miliardi contro gli 8,44 del 2020: non solo 1,1 miliardi in più rispetto alla Puglia, ma ha potuto godere di un incremento rispetto all’anno precedente di 350 milioni.

Prendendo in considerazione il Veneto (4,8 milioni di abitanti) la sproporzione resta, visto incassa 9,54 miliardi: 1,9 miliardi in più della Puglia e 280 milioni in più rispetto all’anno scorso. Insomma, l’iniqua ripartizione non solo prosegue ma, in qualche modo, si amplifica. La Campania, 5,8 milioni di residenti, ha ricevuto 10,8 miliardi contro i 10,6 dell’anno scorso, +200 milioni.


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