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L’ATTUAZIONE dell’autonomia darà il colpo di grazia alla sanità del Mezzogiorno, già in forte ritardo rispetto al resto del Paese come dimostra già la valutazione dei Livelli essenziali di assistenza. A fornire la “prova” è un report della fondazione Gimbe elaborato per rilevare i possibili effetti della riforma Calderoli: dall’aumento della mobilità passiva per il Mezzogiorno alla ulteriore fuga dei medici dagli ospedali del Sud, attratti da stipendi maggiori al Nord. Andiamo con ordine. I livelli essenziali di assistenza (Lea) sono le prestazioni e i servizi che il Sistema sanitario nazionale è tenuto a fornire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento di una quota di compartecipazione (ticket).

Ogni anno il ministero della Salute esamina l’adempimento delle Regioni nell’erogazione dei Lea, attraverso la valutazione di 34 indicatori suddivisi tra attività di prevenzione collettiva e sanità pubblica, assistenza distrettuale e assistenza ospedaliera. Gimbe ha calcolato i punteggi ottenuti da ciascuna Regione in 10 anni, dal 2010 al 2019, il massimo raggiungibile è di 2.250 punti. Ai primi posti ci sono solo regioni del Nord: “Le tre Regioni – si legge nel report – che hanno avanzato la richiesta di maggiori autonomie, Emilia Romagna, Veneto e Lombardia, si trovano tutte nel primo quartile (adempimento cumulativo 86%). In secondo luogo, nei primi due quartili (adempimento cumulativo 76,6%) non si posiziona nessuna Regione del Sud e solo due del Centro (Umbria, Marche). Infine, tutte le Regioni del Centro-Sud (eccetto la Basilicata) rimangono da 12-16 anni in Piano di rientro (giallo) e Calabria e Molise sono ancora commissariate (rosso)”. Senza, quindi, la garanzia di fondi per riequilibrare la situazione i sistemi sanitari regionali del Mezzogiorno sono destinati ad affondare.

Capitolo mobilità sanitaria: l’analisi della conferma la forte capacità attrattiva delle Regioni del Nord, cui corrisponde quella estremamente limitata delle Regioni del Centro-Sud, visto che nel decennio 2010-2019, tredici Regioni, quasi tutte del Centro Sud, hanno accumulato un saldo negativo pari a 14 miliardi. E tra i primi quattro posti per saldo positivo si trovano sempre le tre Regioni che hanno richiesto le maggiori autonomie: Lombardia (+6,18 miliardi), Emilia-Romagna (+3,35 miliardi), Toscana (+1,34 miliardi), Veneto (+1,14 miliardi). Al contrario, le cinque Regioni con saldi negativi superiori a un miliardo sono tutte al Centro-Sud: Campania (-2,94 miliardi), Calabria (-2,71 miliardi), Lazio (-2,19 miliardi), Sicilia (-2 miliardi) e Puglia (-1,84 miliardi).

“La richiesta di maggiori autonomie – commenta Nino Cartabellotta, presidente della fondazione Gimbe – viene proprio dalle Regioni che fanno registrare le migliori performance nazionali in sanità”. Infatti, dalla “fotografia” sugli adempimenti al mantenimento dei Lea relative al decennio 2010-2019 emerge che le tre Regioni che hanno richiesto maggiori autonomie si collocano nei primi 5 posti della classifica, rispettivamente Emilia Romagna (1a), Veneto (3a) e Lombardia (5a), mentre nelle prime 10 posizioni non c’è nessuna Regione del Sud. Da qui l’allarme del presidente di Gimbe: “Il testo che al momento blinda l’autonomia differenziata come un affaire tra Governo e Regioni esautorando il Parlamento – commenta Cartabellotta – non prevede risorse per finanziare i livelli essenziali delle prestazioni (Lep) e consente il trasferimento delle autonomie alle Regioni prima senza recuperare i divari tra le varie aree del Paese”.

Quindi, “l’attuazione delle maggiori autonomie darà il colpo di grazia al Servizio sanitario nazionale, aumenterà le diseguaglianze regionali e legittimerà normativamente il divario tra Nord e Sud, violando il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini nel diritto alla tutela della salute”. Il report Gimbe, ripercorre la “cronistoria” del regionalismo differenziato, analizza le criticità della bozza del DdL, valuta il potenziale impatto sul Ssn delle autonomie richieste da Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, “fotografa” l’entità delle diseguaglianze regionali sull’adempimento dei Livelli essenziali di assistenza (Lea) e della mobilità sanitaria. Secondo la fondazione, alcune “istanze risultano francamente “eversive””. Una maggiore autonomia in materia di istituzione e gestione di fondi sanitari integrativi darebbe il via a sistemi assicurativo-mutualistici regionali sganciati dalla, seppur frammentata, normativa nazionale. Inoltre, la richiesta del Veneto di contrattazione integrativa regionale per i dipendenti, oltre all’autonomia in materia di gestione del personale e di regolamentazione dell’attività libero-professionale, rischia di concretizzare una concorrenza tra Regioni con “migrazione” di personale dal Sud al Nord, ponendo una pietra tombale sulla contrattazione collettiva nazionale e sul ruolo dei sindacati.

Per Gimbe, “alcune forme di autonomia rischiano di sovvertire gli strumenti di governance del Ssn aumentando le diseguaglianze nell’offerta dei servizi: sistema tariffario, di rimborso, di remunerazione e di compartecipazione, sistema di governance delle aziende e degli enti del Servizio sanitario regionale, determinazione del numero di borse di studio per specialisti e medici di famiglia”. “Questi dati – continua Cartabellotta – confermano che nonostante la definizione dei Lea dal 2001, il loro monitoraggio annuale e l’utilizzo da parte dello Stato di strumenti quali Piani di rientro e commissariamenti, persistono inaccettabili diseguaglianze tra i 21 sistemi sanitari regionali, in particolare un gap strutturale Nord-Sud che compromette l’equità di accesso ai servizi e alimenta un’imponente mobilità sanitaria in direzione Sud-Nord”.

Di conseguenza, l’attuazione di maggiori autonomie in sanità, richieste proprio dalle Regioni con le migliori performance sanitarie e maggior capacità di attrazione, non potrà che amplificare le inaccettabili diseguaglianze registrate con la semplice competenza regionale concorrente in tema di tutela della salute.


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