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MENO nascite, più decessi e un invecchiamento costante della popolazione. Secondo l’Istat, la crisi demografica italiana si spingerà fino a raggiungere un rapporto giovani/anziani di uno a tre entro il 2050, con un declino senza precedenti che investirebbe in massima parte il Mezzogiorno. Trattandosi di modelli previsionali di breve e lungo periodo, sarebbe difficile attribuire alle condizioni ambientali e strutturali di determinati territori il ruolo di causa o effetto una volta per tutte.

Sta di fatto che la diminuzione e l’invecchiamento della popolazione, così come l’emigrazione interna, la crisi delle famiglie e lo spopolamento delle aree interne, specie rurali, hanno un andamento molto più marcato e irreversibile al Sud che nel resto d’Italia.

Vale a dire: in quella parte del Paese dove sanità, scuola e trasporti sono allo stremo, la spesa sociale inesistente e i Livelli essenziali delle prestazioni lettera morta. Gli ultimi rilievi dell’Istituto nazionale di statistica – confermati da Eurostat e United Nations Population Division – indicano il 2048 come l’anno in cui i decessi potrebbero doppiare le nascite (784mila contro 391mila). Ma non solo.

RIDUZIONE DELLA POPOLAZIONE E INVECCHIAMENTO

Se la popolazione residente del nostro Paese è in decrescita – passando da 59,6 milioni al 1° gennaio 2020 a 58 milioni nel 2030, a 54,1 nel 2050 e a 47,6 nel 2070 – ed entro il 2040 una famiglia su quattro sarà composta da una coppia con figli, mentre più di una su cinque non avrà figli – la fotografia del Sud non lascia alcun dubbio in quanto a possibilità, anche solo di sopravvivenza, in un’area in cui essere raggiunti o trasportati da un’ambulanza in tempo utile è un miraggio, così come contare su un asilo nido, mandare i propri figli in una scuola antisismica o avere strade sicure e trasporti locali efficienti.

Nonostante, come sottolinea l’Istat, la diminuzione dei residenti riguardi tutto il territorio nazionale, le differenze tra Centro-nord e Mezzogiorno sono un dato di fatto. Non a caso, nel breve termine, si prospetta nel Nord (-1,3‰ annuo fino al 2030) e nel Centro (-2,2) una riduzione della popolazione meno importante rispetto al Mezzogiorno (-5,4), mentre nel periodo intermedio (2030-2050) e nel lungo termine (2050-2070), tale tendenza si rafforza, con un calo di popolazione più forte in ambito meridionale.

Nel Nord, la riduzione media annua sarà dell’1,4‰ nel 2030-2050 e del 4,3‰ nel 2050-2070, contro -6,9% e -10,3‰ nel Mezzogiorno. E anche nel rapporto tra giovani e anziani il Sud sarà contraddistinto ancora una volta da un processo d’invecchiamento più più marcato. Nella ripartizione tra macroaree geografiche, infatti, l’età media passa da 44,6 anni nel 2020 a 50 anni nel 2040, sopravanzando il Nord, che raggiunge un’età media di 49,2 anni ma che nell’anno base di rilevazione (2020) parte da un livello più alto, ossia 46,3 anni. Nel 2050, tuttavia, l’età media al Sud sarà di 51,6 anni, superando i 52 del 2070, contro un Nord e un Centro che potranno contare su un ringiovanimento, con 49,7 e 51,1 anni.

SPOPOLAMENTO, EMIGRAZIONE E AREE INTERNE

Entro 10 anni, l’81% dei Comuni subirà un calo di popolazione, l’87% nel caso di Comuni di zone rurali. Ciò a causa dell’uniforme bassa fecondità, ma anche di livelli migratori sfavorevoli per alcune realtà territoriali come il Mezzogiorno, dove è più forte sia l’emigrazione per l’estero, che quella verso il Paese.

Anche nel caso delle zone rurali, saranno soprattutto i Comuni del Sud a rischiare l’estinzione, visto che quelli con bilancio negativo sono il 93% del totale, con una riduzione della popolazione pari all’8,9%. Poi ci sono le “aree interne”, quelle parti del territorio nazionale lontane fisicamente dall’offerta dei servizi essenziali di istruzione, salute e mobilità.

Ebbene, se dei 1.060 Comuni italiani che ricadono in queste aree il 95% fa registrare una riduzione dei residenti del 9,6%, tale percentuale sale al 10,4% nel Sud. Anche per quanto riguarda piccole città e sobborghi, il calo demografico è più accentuato nel Mezzogiorno (85%), contro il 72% nazionale. Resistono le grandi città, che avranno una diminuzione di residenti “solo” nel 67% dei casi.

Le migrazioni interne nel periodo 2020-2029 interesseranno oltre 13 milioni di cittadini, il 24% dei quali a carattere interregionale e il 76% tra Comuni all’interno della stessa Regione, il tutto a vantaggio delle zone più popolate. Ma le aree più favorite saranno tutte al Centro-nord, a danno di quelle del Sud, dove le perdite di popolazione ammonterebbero, per i centri grandi, medi e rurali, rispettivamente, a 204mila, 226mila e 86mila unità. Con i centri urbani del Nord, da qui al 2030, a esercitare una forte attrattiva soprattutto nei confronti delle zone rurali più remote del Sud.

FAMIGLIA E FIGLI

L’Istat prevede per i prossimi vent’anni una crescita del numero delle famiglie (legato anche all’aumento delle persone sole, che costituiscono delle vere e proprie micro-famiglie), ma con un numero medio di componenti sempre più piccolo.

Meno coppie con figli, più coppie senza: entro il 2040 una famiglia su quattro sarà composta da una coppia con figli, più di una su cinque non avrà figli. Le famiglie con figli, che oggi costituiscono il 32,1% delle famiglie totali, nel 2040 passerebbero al 23,9%, ma la diminuzione delle coppie con figli sarebbe più accentuata al Sud, pari a 10 punti percentuali (dal 36,9% al 26,9%).

Rispetto alla coppia senza figli – che si prevede possa costituire il 21,6% delle famiglie totali nel 2040 e che continuerà a essere più diffusa al Nord (23,1%) – il cambiamento più forte è previsto sempre al Sud dove, a fronte di una situazione iniziale meno diffusa, le coppie senza figli incrementerebbero in venti anni di circa tre punti percentuali (dal 17,9% al 20,4%).

L’instabilità coniugale, infine, sempre più diffusa in tutto il Paese, contribuirà ad aumentare le famiglie composte da un genitore solo, maschio o femmina, con uno o più figli.


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