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La centrale di Garigliano

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GLI STATI Uniti, la Francia e altri Paesi occidentali, ma anche dell’Asia (Giappone, Cina e India) stanno pianificando di mantenere in funzione dozzine di reattori decenni dopo la scadenza delle loro licenze operative originali e stanno prevedendo di realizzarne di nuove.  I rischi geo-politici (l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, la rivendicazione di Taiwan da parte della Cina, la crisi in Medio Oriente), la limitatezza delle risorse fossili e il loro costo elevato a causa dei conflitti bellici, e l’adozione improcrastinabile delle misure per contrastare i cambiamenti climatici e raggiungere entro il 2030 emissioni nette zero, sta portando le autorità politiche a rivalutare il nucleare come fonte energetica alternativa e affidabile.

Il Belgio si sta muovendo per consentire a due reattori che avrebbero dovuto chiudere nel 2025 di funzionare fino al 2036 per aiutare l’Europa a ridurre la dipendenza dal gas russo. La Germania, che doveva chiudere tutti i suoi reattori entro la fine di quest’anno, sta ora discutendo se mantenere aperti gli ultimi tre anche nel 2023 per aiutare a risparmiare gas durante l’inverno. Alcuni politici tedeschi chiedono che i reattori rimangano aperti ancora più a lungo. Il Primo ministro giapponese, Fumio Kishida, questa settimana ha chiesto al Paese di riavviare 17 reattori nucleari entro l’estate 2023. Il

L’obiettivo principale del Governo è  costruire centrali nucleari con reattori ad acqua leggera di nuova generazione dal 2030. Il  Giappone ha riattivato ad oggi cinque dei 54 reattori  nucleari di cui dispone e che sono stati arrestati a  seguito del disastro nucleare di Fukushima del 2011. Nove  reattori attivi consentirebbero al Paese di attingere al  nucleare per circa il 10%  della sua domanda di  energia elettrica, e di arginare almeno in parte i rischi  legati all’approvvigionamento durante la prossima stagione  invernale. In seguito al  referendum del 1987, l’Italia ha fermato l’esercizio delle centrali nucleari di  Latina,  Trino  (Vercelli) e  Caorso  (Piacenza), che venivano messe di fatto nella condizione di “safe store” (custodia protettiva passiva), già prevista per la centrale del Garigliano, chiusa nel 1982.

Stesso destino è toccato agli impianti del ciclo del combustibile di Saluggia (Vercelli), Casaccia (Roma) e Rotondella (Matera) e all’impianto di fabbricazione del combustibile nucleare di Bosco Marengo (Alessandria). Sono stati, inoltre, interrotti i lavori di costruzione delle centrali di Montalto di Castro e di Trino 2, entrambe pertanto mai entrate in funzione. Spegnere le centrali non è esattamente come staccare una spina: fermarle e metterle in sicure non può bastare. L’attività più complessa e difficile e non esente da rischi riguarda l’eliminazione dei contenitori del combustibile radioattivo curato dalla Sogin, la società interamente partecipata dal ministero dell’Economia e delle Finanze, responsabile dello smantellamento  (decommissioning) di un impianto nucleare, ovvero l’ultima fase del suo ciclo di vita dopo la costruzione e l’esercizio, nonché della  gestione dei rifiuti radioattivi, compresi quelli prodotti dalle attività industriali, di ricerca e di medicina nucleare. 

Lo smantellamento comprende l’allontanamento del combustibile e la  caratterizzazione radiologica  degli impianti, la  decontaminazione  delle strutture, la demolizione degli edifici e, infine, la caratterizzazione radiologica del sito. Tutte queste operazioni vengono svolte mantenendo sempre in sicurezza gli impianti nei quali si lavora.  L’Italia, con la scelta di fermare la produzione di energia da fonte nucleare nel 1987, è stata tra i primi Paesi al mondo a confrontarsi con il decommissioning nucleare. Però, avere rinunciato al nucleare all’Italia costerà complessivamente 7,2 miliardi di euro, di cui 3,6 già spesi dal 2001 al 2017 (ma circa la metà è servita per la sicurezza e il mantenimento dei depositi temporanei).

Dopo la crisi energetica degli anni Settanta, il Paese ne sta vivendo un’altra non meno drammatica, a causa della guerra in Ucraina e delle ritorsioni di Mosca nei confronti dei Paesi, tra cui l’Italia, che l’hanno sanzionata per l’aggressione militare contro Kiev. Il nucleare di cui si sta tornando a parlare anche da noi essendo stato contemplato nei programmi del Centrodestra e di Azione, è un’opzione affatto possibile: le tecnologie ci sono, i capitali non mancano, e perfino l’Unione Europea ha inserito il nucleare tra le fonti energetiche rinnovabili. Però, non bastano, ci vuole un altro “ingrediente” decisivo per la sua fattibilità: la volontà e la serietà. Il Ponte sullo Stretto insegna: senza volontà e serietà non si va da nessuna parte e si sprecano solo i soldi dei contribuenti.  

La maggior parte delle centrali nucleari attualmente esistenti sono impianti di terza generazione che utilizzano principalmente reattori ad acqua pressurizzata, i quali sono relativamente inefficienti nell’utilizzo dell’energia immagazzinata nelle materie prime, poiché di norma sfruttano solo il 5-8% dell’energia disponibile, generando di conseguenza una grande quantità di rifiuti.

I reattori nucleari di quarta generazione, invece, sono costituiti da un gruppo di tecnologie diverse, come i reattori avanzati ad acqua pesante e i reattori a sali fusi, e possono utilizzare il 95-98% dell’energia disponibile nel carburante, anche se sono ancora alquanto lontani dalla commercializzazione. I mini reattori “Small modular reactors” che occupano meno spazio rispetto agli impianti convenzionali e possono essere costruiti più rapidamente e in modo standardizzato, potrebbero diventare una realtà nel prossimo futuro.


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