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La Nazionale di calcio e Matteo Berrettini

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Questa Italia in erba promette una domenica che non è “ogni maledetta domenica” ma è sportivamente speciale. Una domenica lunghissima, che fa battere il cuore dal pomeriggio alla notte: con Matteo Berrettini e con gli azzurri di Roberto Mancini.

Londra è in Italia. Nei suoi santuari dello sport, Wimbledon, il tempio del tennis, e Wembley, il tempo del calcio, ci siamo noi. Una doppia doppia vu, WW, come un acronimo di guerra mondiale, World War, ma tranquilli, non è una guerra neppure dopo la Brexit, fortunatamente: sono solo due finali sportive: solo? Forse no. “Mi piacciono gli italiani: vanno alla guerra come fosse una partita di calcio e a una partita di calcio come fosse una guerra”, pare dicesse Winston Churchill, al quale un giorno una lady, Lady Astor, disse “se fossi sua moglie, metterei del veleno nel suo caffè” e lui rispose sornione “se fossi suo marito, lo berrei”.

Simpatici questi inglesi, meritano una “lezioncina”. Magari, potendo, due: ma siate scaramantici e non ditelo: “It’s coming home”, torna a casa, dicono loro alludendo alla coppa del calcio e intonando una forzatura, perché avranno sì inventato il calcio, vinceranno sì tutte le coppe anche grazie a un campionato pieno di soldi, e perciò di campioni, ma, quanto a trofei internazionali, non figurano nell’albo d’oro europeo, mai vinto, ed in quello mondiale stanno iscritti una volta sola, quella del 1966 in casa e grazie a un pallone che solo un arbitro russo vide dentro la porta tedesca. Qualche umorista dice che gli inglesi hanno creato tantissimi sport perché ne inventano uno, perdono spesso e passano ad altro.

Ma la storia non si fa con i risultati del passato, e oggi a Londra, Italia, si fa la Storia. Sportiva, s’intende: che però è il massimo che c’è nell’animo popolare, Ztl e no, tutti insieme appassionatamente.

La Storia si fa con Berrettini che sull’erba sacra di Wimbledon si confronta con Nole Djokovic, serbo, numero uno del mondo, Berrettini è (per il momento, va da sé) il numero otto, avendo appena scavalcato ufficiosamente Federer: la classifica ufficiale sarà stilata domani e chissà… Djokovic, che è del 1987, ha già vinto Wimbledon cinque volte; Berrettini, che è del ’96, ovviamente mai. Del resto nei 144 anni del torneo nessun italiano era mai arrivato a giocare la finale più sognata del mondo racchettaro.

Per i cultori del minimalismo ma non troppo, che tutto sanno dei calciatori da Donnarumma a Chiesa passando per Chiellini e Jorginho, si segnala che Matteo Berrettini ha per libro preferito “Per chi suona la campana”, tifa Fiorentina e nella Nba la squadra di LeBron James qualche che sia, al cinema predilige Quentin Tarantino, a tavola cacio e pepe o aglio, olio e peperoncino, con scappatella all’amatriciana. La fidanzata è una tennista, il resto è Djokovic.

Ora, essendo a Londra, basterà prendere la metropolitana assembrati e un po’ di coincidenze e sarete a Wembley. Meno fortunati, basterà un telecomando, un dito di zapping, ed eccoci nella “sera delle sere”. Qualcuno ha già notato che siamo all’11 luglio, che nell’82 era di domenica, c’era Pertini a Madrid e l’urlo di Tardelli si sente ancora: scaramantici, lasciamo stare. Gli inglesi hanno già firmato una petizione popolare per chiedere a Boris Johnson di proclamare Bank Holiday, giorno di vacanza, lunedì: birre da smaltire.

Mattarella in tribuna, e anche Spinazzola con le stampelle. In campo… Beh, in campo facciamo che ci pensi Mancini. Si sarà notato, ma non siamo più quel popolo di commissari tecnici che discute di Rivera o Mazzola, di Totti o Del Piero. Qui e altrove abbiamo imparato a fidarci di chi ci governa, finalmente e perché lo meritano: Chiesa o Berardi, Verratti o Locatelli, “fiat lux” come diceva un famoso presidente di calcio, Dall’Ara, che voleva così dire “faccia lui”.

E facciano loro, i ragazzi di Mancini, che fin qui hanno fatto benissimo e, vada come vada, questo rimane e rimarrà.


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