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Illustrazione da www.centrotice.it

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Il concetto di emergenza è polisemico, si caratterizza per un elevato tenore di complessità rispetto ai concetti di catastrofe o di disastro, che rimandano invece a uno stato di criticità immediata. Ecco come i sociologi l’hanno affrontato

Accade spesso di sentire parlare di emergenza. Accade in una pluralità di ambiti, sanità, ambiente, terrorismo, crimine, migrazioni, occupazione, istruzione e chissà quanti altri, e si riferisce per lo più al palesarsi di qualcosa di inatteso, una rottura di ciò che percepiamo come usuale, routinario e quindi consueto. Quando emerge l’evento, inatteso, viene di fatto infranto l’ordine normale della quotidianità delle cose, rompendo la relazione dialettica della soggettività (osservatore/osservato). In questo modo l’inatteso assume la concretezza dell’oggettività.

Spesso le conseguenze di un’emergenza sono strutturali, destinate a durare nel tempo (quando non addirittura a cristallizzarsi) e quindi hanno ripercussioni tanto sui singoli quanto sulle collettività. Nei singoli, le situazioni emergenziali implicano un riordine affettivo e cognitivo: bisogna imparare a controllare le nuove paure e le nuove ansie, a comprendere il mondo e a rapportarsi a esso da una nuova prospettiva.

Sul piano collettivo, invece, esistono due differenti livelli che vengono coinvolti: a livello meso le emergenze rendono spesso necessaria una complessiva riorganizzazione delle pratiche comunitarie, delle forme di solidarietà e dei processi della cooperazione e del conflitto, mentre a livello macro, del sistema sociale, le situazioni emergenziali impongono invece forme di riorganizzazione sistemica (sanitaria, politica, giuridica, economica) su una pluralità di livelli, interconnessi anche se differenziati. Il concetto di emergenza è polisemico, e come tale può essere affrontato soltanto a livello interdisciplinare; si caratterizza, inoltre, per un elevato tenore di complessità rispetto ai concetti di catastrofe o di disastro, che rimandano invece a uno stato di criticità immediata cui bisogna rispondere prontamente.

L’emergenza, invece, caratterizza una situazione di criticità duratura, che produce insieme fratture e aggiustamenti, modifiche e costanti adattamenti. In questa prospettiva, le emergenze producono cambiamenti e possono, in linea di principio, favorire perfino il mutamento e l’innovazione sociale. Molto spesso, in ogni caso, si tende a fare confusione tra emergenza, catastrofe e disastro: meglio, in generale si cerca di porre rimedio a catastrofi e disastri come se fossero eventi non prevedibili. Spesso, invece, probabilmente non si è dato il giusto risalto a quegli indicatori che, bene interpretati, avrebbero certamente segnalato appunto un’emergenza, segnali nei confronti dei quali era necessario agire in tempi e modi opportuni.

Accade anche che il ricorso all’emergenza possa essere utilizzato dai governanti come scusa per non aver previsto un evento o per giustificare un’azione o una decisione controversa: si tratta della ben nota politica dell’emergenza, spesso attuata da un “governo dell’emergenza”. In questo contesto, l’emergenza può essere vista come un’opportunità per i governanti di aumentare il proprio potere e di limitare le libertà civili dei cittadini, invocando la necessità di rispondere a una situazione di crisi. Ciò può comportare la sospensione di diritti e garanzie costituzionali, l’introduzione di misure di sorveglianza e controllo, la militarizzazione degli spazi pubblici e la limitazione della libertà di stampa e di manifestazione.

Ovviamente, non tutti i casi di emergenza sono creati artificialmente dai governi, ma spesso sono invece una conseguenza quasi naturale all’assenza di misure di contrasto a situazioni strutturali che sono evidenti ma vengono, purtroppo, disattese. Pensiamo per esempio alla situazione ambientale, che de diversi decenni oramai è al centro dell’attenzione. In un’ottica di sistema complesso, le emergenze ambientali possono essere interpretate come il risultato di molteplici fattori che interagiscono tra loro, tra cui la mancanza di una visione complessiva e una troppa fiducia nella statistica.

La crisi ambientale globale è il risultato di una serie di processi interconnessi, tra cui l’inquinamento, la perdita di biodiversità, il cambiamento climatico e la distruzione degli ecosistemi. Questi processi sono spesso causati dall’azione umana, come l’uso eccessivo delle risorse naturali, l’inquinamento industriale e l’agricoltura intensiva. In molti casi, le emergenze ambientali sono state causate da una mancanza di una visione complessiva del sistema ambientale e delle interazioni tra i diversi fattori che lo influenzano.

Ad esempio, l’uso eccessivo di pesticidi e fertilizzanti in agricoltura può causare l’inquinamento delle acque sotterranee e la perdita di biodiversità, ma spesso le politiche agricole si concentrano solo sulla produttività a breve termine senza tenere conto delle conseguenze a lungo termine. Inoltre, la statistica può fornire un quadro parziale e limitato della realtà, poiché si basa sull’analisi di dati quantitativi che possono non riflettere appieno la complessità dei sistemi naturali e sociali. Ad esempio, i dati sulle emissioni di CO2 possono fornire informazioni importanti sul cambiamento climatico, ma non tengono conto di altri fattori importanti come la perdita di biodiversità o la qualità dell’aria.

Le emergenze ambientali possono quindi essere interpretate come il risultato di una serie di fattori interconnessi, tra cui la mancanza di una visione complessiva del sistema ambientale e una troppa fiducia nella statistica. Per affrontare la crisi ambientale globale, è necessario invece adottare un approccio sistemico complesso che tenga conto della complessità dei sistemi naturali e sociali, e che prenda in considerazione le interazioni tra i diversi fattori che influenzano l’ambiente.

I sociologi classici hanno toccato il tema delle emergenze solo sfiorandolo. Tuttavia, le loro teorie e le loro analisi sul funzionamento della società e sulle dinamiche sociali possono fornire utili spunti di riflessione per comprendere il modo in cui le emergenze influenzano la società e il comportamento degli individui. Ad esempio, Durkheim ha analizzato il ruolo delle crisi e delle tensioni sociali nel rafforzamento della solidarietà e dell’integrazione sociale, mentre Marx ha analizzato il modo in cui le crisi economiche possono influenzare il funzionamento del sistema capitalistico e le relazioni di potere tra le classi sociali. Weber, dal canto suo, ha invece analizzato il ruolo delle istituzioni e delle organizzazioni nella gestione delle emergenze e nella costruzione dell’autorità e del potere.

Più di recente, invece, si è sviluppata una branca della sociologia che si occupa specificatamente dell’emergenza e delle situazioni di crisi, nota come sociologia dell’emergenza o sociologia delle catastrofi. La sociologia dell’emergenza studia come le società e le comunità si comportano durante le situazioni di crisi, come le catastrofi naturali, gli attacchi terroristici, le epidemie e così via. La disciplina esamina come le persone e le istituzioni si adattano e rispondono alle emergenze, come si organizzano per far fronte alle situazioni di crisi e come possono essere prevenute e gestite. La sociologia dell’emergenza si concentra anche sull’impatto delle emergenze sulla società, sulla politica e sull’economia, nonché sulle disuguaglianze sociali e sulle dinamiche di potere che possono emergere durante le situazioni di crisi. Inoltre, esamina come le risposte alle emergenze possono essere migliorate attraverso la cooperazione internazionale e la solidarietà globale.

Ovviamente, vista l’ampia gamma di temi di cui è portata ad occuparsi la sociologia nel campo delle emergenze, nel corso del tempo sono emersi diversi approcci teorici. Importante, per esempio, la teoria della mobilitazione delle risorse, sviluppata da Neil Smelser e altri studiosi. Questa teoria sostiene che le emergenze sono caratterizzate da una mobilitazione rapida e intensa di risorse materiali, umane e sociali, che vengono attivate per far fronte alla situazione di crisi. In questo contesto, gli individui e le organizzazioni collaborano e si organizzano in modo efficiente per raggiungere obiettivi comuni. Parallelamente, la teoria della convergenza, sviluppata da Charles Fritz, sostiene che le emergenze portano alla convergenza di individui e gruppi che si trovano in situazioni simili o che hanno gli stessi bisogni e obiettivi. In questo contesto, si sviluppano forme di solidarietà e di collaborazione, ma anche di conflitto e di competizione per le risorse.

Di tenore differente invece l’approccio teorico di Barry Glassner, basato sulla teoria della cultura della paura. Barry Glassner è un sociologo americano che ha insegnato sociologia alla University of Southern California, dove è stato anche preside della Facoltà di Arti e Scienze Sociali. Attualmente è professore emerito di sociologia alla stessa università. La sua teoria sulle emergenze, descritta nel libro “The Culture of Fear: Why Americans Are Afraid of the Wrong Things” pubblicato nel 1999, si concentra espressamente sull’analisi della cultura della paura e sulla costruzione sociale delle emergenze. Secondo Glassner, le emergenze non sono solo il risultato di eventi naturali o di crisi, ma sono anche il prodotto della costruzione sociale della paura da parte dei media, dei politici e delle autorità. Glassner sostiene che la cultura della paura ha un impatto significativo sulla società, influenzando la percezione del rischio e il comportamento degli individui.

La teoria di Glassner mette in luce come le emergenze possano essere utilizzate per giustificare politiche pubbliche restrittive o per alimentare l’isteria collettiva, distogliendo l’attenzione da problemi reali o più urgenti, e sostiene che la cultura della paura sia alimentata dalla percezione di insicurezza collettiva e dalle aspettative sociali di sicurezza, che spingono le autorità a prevenire e a gestire le emergenze in modo sempre più rigido e autoritario.

Le emergenze possono insomma condurre a una cultura della paura, in cui le persone si sentono minacciate e cercano di proteggere sé stesse e i propri cari. In questo contesto, si possono sviluppare forme di discriminazione e di esclusione sociale, ma anche di solidarietà e di collaborazione. La teoria di Glassner ha influenzato l’intero sviluppo della ricerca sulle emergenze, evidenziando l’importanza della costruzione sociale delle emergenze e la necessità di un’analisi critica delle politiche pubbliche e dei media in relazione alle emergenze e alla sicurezza pubblica.

Importante anche l’approccio di Enrico Quarantelli, sociologo americano scomparso qualche anno fa, pioniere nella ricerca sulle emergenze e sulle catastrofi. È stato il fondatore e il direttore del Disaster Research Center dell’Università del Delaware, che ha contribuito in modo significativo alla ricerca sui disastri e sulla gestione delle emergenze. La teoria di Quarantelli si concentra sull’analisi delle risposte sociali alle emergenze, in particolare sui processi di comportamento collettivo e sulle modalità di organizzazione delle risorse e delle attività per far fronte alle emergenze.

Quarantelli sostiene che la gestione delle emergenze non è solo un problema tecnico, ma implica anche processi sociali complessi che coinvolgono attori diversi e che possono influenzare la struttura sociale e le relazioni di potere. Secondo Quarantelli, le emergenze possono essere suddivise in diverse fasi, che includono la preparazione, l’avvertimento, l’evacuazione, la risposta immediata, la riparazione e la ricostruzione. In ciascuna di queste fasi, sono coinvolti attori diversi, come le autorità locali, le organizzazioni di volontariato, le imprese private e la popolazione locale.

In questo contesto, si sviluppano dinamiche di negoziazione, di conflitto e di collaborazione, che possono influenzare il modo in cui viene gestita l’emergenza e il suo impatto sulla società. Anche il suo approccio ha influenzato significativamente lo sviluppo della ricerca sulle emergenze e sulla gestione delle crisi, fornendo un quadro teorico per comprendere il modo in cui le emergenze influenzano la società e il comportamento degli individui.

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