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La "Maestà sofferente" di Gaetano Pesce

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La festa della donna ha a Ferrara la sua capitale. In tempi in cui tutto è fermo, la vita sociale è sospesa, i valori di umanità mortificati, la paura dell’altro dominante, era molto facile dimenticarsi della donna e dei suoi valori.

A Ferrara non sarà possibile dimenticarla: l’amministrazione comunale ha infatti, attraverso una mia proposta, accettato il dono alla città della monumentale “Maestà sofferente” di Gaetano Pesce, straordinaria metafora della violenza sulle donne, impresa di cinquant’anni di vita che raffigura un corpo femminile infilzato di centinaia di frecce, e che fu già esposto in piazza del Duomo di Milano.

Dopo un sopralluogo in alcuni siti cruciali della città, dal Parco di Palazzo Prosperi Sacrati, all’area della Porta degli Angeli al termine di corso Ercole d’Este, a Piazza Ariostea, al prato davanti alla Certosa, alla rotatoria di Porta Mare, si è stabilita una collocazione temporanea in piazza della Fiera, a partire dall’8 marzo. Ferrara onora così la donna e la sua forza. Ed è la forza del suo generoso corpo di madre, con il monito a respingere ogni violenza che mortifichi i diritti e l’intelligenza della donna.

Qualche donna ha ritenuto, incredibilmente che fosse più giusto affidare a un donna l’impegnò di celebrare la dignità della donna. È una possibilità, non un obbligo, se l’arte è libera. Lasciamo gli uomini liberi di esprimere quell’archetipo femminile che hanno nel loro immaginario e di interpretare un tema così delicato. L’educazione dei ragazzi al rispetto, cui si consacrano giornate del ricordo, passa anche per questa strada: far emergere le loro emozioni, insegnare il rispetto, l’accettazione della diversità.

Non vediamo le contrapposizioni dei ruoli ma la loro complementarità, non gridiamo sempre al sessismo; la grandiosa immagine  di donna burrosa e materna che Pesce aveva nel 1969 è rimasta identica dopo cinquant’anni, amplificando e approfondendo un tema che ancora non sussisteva così forte, a riprova che il suo non è maschilismo.  Oggi, l’esistenza e la dignità  della donna sono ancor  più esposte e più minacciate di allora, ma fortunatamente sono sempre di più le voci che si levano a sua difesa nel mondo, come quella di Pesce. Ed  è necessario che siano anche di uomini. Convinti o pentiti.

Cosa dire, poi, nella storia, degli artisti ossessionati dal corpo femminile? Qualche femminista punterebbe il dito contro Velasquez per la sua Venere allo specchio? O con Goya per la Maja desnuda? Sdraiate sul letto, le due donne  offrono  la loro sessualità agli occhi di chi guarda: ritratte in posizione passiva, di offerta, con il corpo in attesa di chi lo ammiri, dandovi un senso, legato al desiderio del maschio. Evitarlo? Negarlo?  Accusare di sessismo Velazquez e Goya?
Ancor peggio Marylin di Warhol non è più neanche corpo: perde ogni forma di spiritualità e di individualità per manifestarsi come  proiezione di uno stereotipo di massa.

Un’ultima considerazione: nessuno si scandalizzò per le enormi tette che per due giorni hanno campeggiato sui tetti di Londra, simbolo della campagna per l’allattamento al seno. Quelle tette giganti, gonfiabili, che con orgoglio hanno fatto mostra di sé, non dovrebbero essere anch’esse  una esibizione  del corpo femminile? 

La causa è nobile, si potrebbe obiettare. Anche le intenzioni di Gaetano Pesce lo sono. E così Pesce sigilla la sua invenzione: “L’arte fa discutere e fa crescere il nostro cervello. Secondo me, questa opera è una festa, anche se triste perché si ricorda che le donne sono vittime di violenza, ma è meglio ricordarlo che negarlo. Oggi questa è un’occasione per discutere della violenza sulle donne ,e direi che ci siamo riusciti”. Ferrara è femmina.


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