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Alcune stanze abbandonate fotografate da Massimo Listri (sfoglia la gallery in fondo all'articolo)

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Vedrete a Civitanova Alta, nella chiesa di San Francesco, alcune stanze abbandonate, fotografate, con sentimento e magistero, da Massimo Listri. Le prodigiose luci di Guzzini rendono splendidi anche questi ambienti disadorni.

Ho voluto chiamare la mostra “La solitudine delle cose” pensando alla peculiarità di essere ambienti laterali rispetto alle grandi stanze di ville o palazzi, da Versailles a Stupinigi, da Palazzo Bardini a Firenze a Palazzo Butera a Palermo. Quest’ultimo oggi è rinato con un mirabile restauro di Massimo Valsecchi che ne ha fatto il più sofisticato museo di Palermo.

Listri andò quando era in larga parte senza destinazione e senza anima. Ma l’anima lui la trovò in uno spazio disadorno con grandi lampadari. Cosa intendo per solitudine delle cose? Che in una casa o in una stanza non più abitata possano restare un tavolo, una sedia che nessuno userà più, lasciati fermi in un tempo immobile come in un deposito, e per questo privi della loro ragione di essere che li rendeva oggetti utili all’uomo.

Le cose possono, a un certo punto della loro incontenibile vita, non essere più utili e morire come le persone che le hanno usate in un altro tempo. È questa particolarissima condizione che Massimo Listri intende rappresentare. Gli è sufficiente spostarsi di pochi metri nello spazio per farsi lontano, in un tempo immemorabile, dove le cose pazientemente aspettano.

Spazio breve, tempo lungo. Anche in alcuni luoghi di evidente lindore come il collegio delle fanciulle a Milano sentiamo che le ragazze sono assenti, come in un periodo di vacanza, e Listri ci restituisce quella condizione con una sensibilità istintiva, animale, di chi interpreta il sentimento dei luoghi. Non è mai compiacimento. È struggimento, sensucht, nostalgia.

Listri vuole descriverci il suo stato d’animo soltanto fermando il suo sguardo negli spazi abbandonati di un castello, come Schwetinzgen in Germania: desolazione, malinconia. O in quelli trascurati, per colpevole abbandono, come palazzo D’avalos. Il suo sguardo è così acuto che, di quei luoghi, sentiamo l’odore, impregnato nelle stoffe e nelle tende, lo scricchiolare delle doghe di legno dei pavimenti non più calpestati da decenni, la malinconia di tempi felici finiti per sempre.

È questo “sentimento del tempo” il soggetto della mostra che Listri esprime. Ho già scritto che Listri fotografa soprattutto quello che non si vede: gli stati d’animo, la nostalgia, le memorie perdute. Il suo occhio accarezza ciò che resta, e comunica una inquietudine serena o rasserenata. La disperazione sarà quando tornerà l’ordine in quelle stanze, strappandole alla solitudine e all’abbandono.



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