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Massimo Silvotti nel Museo dedicato alla poesia

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LA POESIA? Si può toccare. L’ immateriale verso di un poeta può essere esposto come un’opera d’arte così che a guardarla si è colti da  quella sindrome di Stendhal di cui scrisse per primo lo scrittore francese,   dopo essere stato in visita alla chiesa di Santa Croce in Firenze?  Ma la Poesia in vetrina è  un ossimoro? Una provocazione?

Le risposte le troviamo nel “Piccolo Museo della Poesia Chiesa di San Cristoforo” a Piacenza.  Un museo unico al mondo.

«Il Museo che è nato in forma del tutto sperimentale e che oggi ha trovato casa permanente nella splendida chiesa barocca di San Cristoforo, è in effetti l’unico museo della poesia al mondo. Questa affermazione si giustifica per il riconoscimento in questo senso di diverse centinaia di poeti rappresentativi di 55 paesi del mondo, dall’India, al Canada, dalla Svezia ai Balcani, da Israele all’Argentina e non solo. Del resto, per unicità del Museo a livello mondiale s’intende un luogo dove al fianco di iniziative inerenti all’universo poetico esista un’effettiva collezione museale. Altra cosa naturalmente sono le Case della Poesia, ovvero luoghi dove i poeti s’incontrano, presentano libri, svolgono attività di ricerca, collaborano ecc ecc. Di queste Case della Poesia italiane e straniere ce ne sono diverse e autorevolissime», racconta  Massimo Silvotti.

Artista, poeta, drammaturgo, saggista, Silvotti è il creatore e direttore del Piccolo Museo della Poesia: uno scrigno di bellezza, a cominciare dal luogo che lo ospita. Nato il 17 maggio 2014 il museo oggi è ospitato nella chiesa barocca di San Cristoforo ora sconsacrata, la cui cupola è figlia del genio di Ferdinando Galli Bibiena. La chiesa altrimenti detta “Oratorio della morte”, porta la firma dell’architetto di corte Domenico Valmagini, ma la veduta per angolo della facciata e, più in generale, la singolarità del disegno architettonico rendono evidente la collaborazione con  il Bibiena. Fu proprio  il celebre  bolognese,   infatti, che nel 1690 procedette alla decorazione  della cupola.

La teatralità dello spazio è sottolineata  dalla cantoria lignea in controfacciata ma, soprattutto, dai quattro balconcini che dialogano armoniosamente con i gruppi di colonne affrescate dal Bibiena  e che  dilatando lo spazio, realizzano un effetto di maestosa solennità. È questo il  luogo abitato dai poeti e dai loro versi. In questo scrigno  è possibile restare inchiodati guardando  il  Muro degli Angeli: l’unico frammento rimasto del muro della casa di Alda Merini dove lei “nata il ventuno a primavera” che  “non sapeva che nascere folle,/ aprire le zolle / potesse scatenar tempesta /”    descriveva, disegnava, appuntava numeri di telefono e non solo. Si tratta di una recente acquisizione che si va ad aggiungere  al  vasto corpus della collezione museale.

Il frammento del muro della casa di Alda Merini

Si prosegue.  Ecco  il Viaggetto in Etruria di Giuseppe Ungaretti, con dedica autografa a Sinisgalli. Un libro stampato in ottanta copie e tutte regalate dal Poeta ad altri amici poeti che contiene due racconti di viaggio del ‘30 e del ‘34 mai pubblicati e solo stampati nel 1966.  Là, su un altare  è poggiato uno zaino interamente composto di bustine da tè seccate “Rucsak”   inviate all’artista e poetessa tedesca Antje Stehn da oltre 250 poeti di 51 Paesi del mondo. L’opera ideata e realizzata   dall’artista –  che oltre allo zaino comprende poesie inedite dei  250 partecipanti  – è probabilmente l’opera collettiva che ha visto il concorso di più poeti al mondo. E ancora. Nel  Museo  che possiede una straordinaria collezione di Riviste letterarie del Novecento italiano in molti casi complete –   per citarne alcune: Leonardo, La Voce, Solaria, Campo di Marte, il Verri  –     troviamo  il numero uno della Rivista di Marinetti “Poesia” (1905). 

Tra le missive, invece, spuntano fuori  una lettera di Ardengo Soffici in cui parla di Dino Campana   e una lettera in francese di Ungaretti al poeta belga Hellens.   Una collezione, dunque, che si nutre di  rarità   tra libri autografati da  grandi poeti non solo italiani, antologie in prima edizione, riviste letterarie e artistiche, quadri installazioni, poesie inedite e autografe, lettere… Tutto in vetrina.

E allora torniamo alle domande iniziali. “Concettualmente l’idea stessa di un museo della poesia potrebbe apparire come un ossimoro. E mettere la Poesia in vetrina? Qualcuno ne ha parlato come di una provocazione, noi preferiamo definirlo un intendimento che interseca consapevolmente un territorio borderline. Un luogo dove si fondono e interloquiscono bellezza e cultura, curiosità e suggestione, raccoglimento e dinamicità. Un luogo, soprattutto, dove il fruitore avverte di poter restituire e persino implementare il valore generativo della Poesia. Mettere la Poesia in vetrina quindi, ovvero segnalarne la rilevanza con un’azione ad alto valore paradigmatico, significa rendere proattivamente dialettica l’interazione tra chi la Poesia la ricerca e chi la Poesia l’ha messa in essere. Una siffatta interlocuzione, di per sé, aggiunge carattere di veridicità allo sforzo del poeta, il quale, per definizione, è consacrato all’intendimento di ridurre il diaframma, la fenditura, tra la propria parola poetica e la realtà che egli sussume in poesia”.

Ha scritto Silvotti: “La Poesia non è una meta ma piuttosto l’inveramento, l’atto finale di un proposito, di un triplice ricongiungimento. Da una parte il sentire pregno del poeta, dall’altra una pagina vuota, silente, e parole quiescenti, infine un potenziale destinatario senza il quale il processo creativo non si perfeziona. La Poesia dunque come congiunzione imperfetta e disvelante di un incontro. Poeta è colui che svolge la propria personale esistenza al servizio di tale sua gravosa impellenza, la quale investe di responsabilità ogni essere umano che ambisca a definirsi tale. Ungaretti asseriva: la parola è impotente, si avvicina, si avvicina, ma non può; È un po’  come se si sostantivasse una distanza che potremmo definire “del pregnante fallimento”; dove cioè la Poesia si genera e il suo valore sarà tanto maggiore, tanto quanto il poeta sarà consapevole circa i propri limiti intrinsechi. Si pensi alla Siepe de L’infinito, lo sguardo che dovendo assoggettarsi al proprio non vedere, in realtà potenzia la propria visione.

L’essere umano, nella sua accezione più nobile e dignitosa, corrisponde esattamente a questa tensione consapevole verso una conoscenza che non ci è data, ma a cui non per questo rinunciamo. Mario Luzi, a proposito di Rimbaud, parlò di diaframma quasi colmato tra la parola e la cosa, e sta precisamente in quel “quasi” tutta la potenzialità della Poesia nei confronti del grande mistero che ammanta la vita.” Perché è vero la Poesia scatena tempeste,  cura le ferite dell’anima, apre varchi di domande, ripara le feritoie  del ricordo e quelle delle strade sbarrate dalla vita. La Poesia  – come un grimaldello – può  scardinare le serrature del cuore e far rinascere il sogno.


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