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“Teatri d’invenzione” (2007)

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A Palazzo delle Albere a Trento i muri, con gli affreschi pallidi e scialbi, sembravano aspettare le grandi fotografie di un artista turbato e decadente: Carlo Gavazzeni Ricordi. Il suo è un viaggio nella Roma antica e nella Roma barocca, dalle pareti degli edifici degradati, più nella memoria che nella realtà, e nella Roma contemporanea attraversata da graffiti, che hanno fatto scrivere a Tahar Ben Jelloun : “C’è un grande poeta libanese che si chiama Adonis che ha scritto un poema, lo cito per quello che ricordo io: «Ditemi cosa vi è di chiaro in una relazione tra un uomo e una donna». Naturalmente nulla è chiaro, anche se loro hanno una chiarezza intrinseca. E se avessimo chiesto a Carlo di fare una fotografia di questa coppia, avrebbe preso dieci scatti in momenti diversi e mischiato tutto ciò in un’unica immagine. Non per arrivare alla verità, ma per avvicinarsi alla verità. Quando ho visto queste fotografie impressionanti ho visto i muri di Roma come se fossi stato lì duemila anni fa, ma al tempo stesso ho visto una Roma con i graffiti di oggi. E l’arte di Carlo è quella di aver reso il connubio tra un passato molto antico e un presente attualissimo. Di fatto ha spogliato Roma”.

Ho voluto richiamare il titolo del romanzo “Memorie di Adriano” di Marguerite Yourcenar, per una equivalenza di sensibilità: «Mi sentivo responsabile della bellezza del mondo», dice di sé Adriano; e potrebbe ripeterlo, come fa con queste immagini, Gavazzeni.

Il mondo di Gavazzeni è il mondo della nostalgia e del rimpianto. Le immagini sono sottoposte a un viraggio e a un invecchiamento della superficie che le rende screziate, postume. E il risultato le rende simili e affini agli affreschi consunti alle pareti. Non si tratta di una consonanza voluta, ma di una predisposizione del palazzo cinquecentesco, rinascimentale, su cui il tempo ha prodotto gli stessi effetti che Gavazzeni persegue con le sue fotografie. Davanti a queste immagini, così come davanti ai luoghi che illustrano, noi siamo sempre altrove, la nostra mente ci allontana. Ma è la condizione perché l’integrità perduta sopravviva nel rimpianto. Non esiste un “qui e ora”, ma soltanto un tempo imperfetto, che ci dice come eravamo, come non potremo più essere. Eppure tutto è presente, noi siamo quello che siamo stati, in un tempo irreparabile. Gavazzeni non si consente speranza perché noi ormai siamo fuori del tempo. Il mondo che egli rimpiange non può ritornare, siamo noi che ci avviciniamo a lui .

“Roma dimenticate” (Villa Medici, 2009/2011)

È il pensiero dei versi di Pierre de Ronsard: “Le temps s’en va, le temps s’en va, ma Dame, / Las ! le temps, non, mais nous nous en allons, / Et tôt serons étendus sous la lame ; / Et des amours desquelles nous parlons, / Quand serons morts, n’en sera plus nouvelle: / Pour ce aimez-moi, cependant qu’êtes belle”.

Ed è la stessa conclusione della Yourcenar, rispecchiata in queste immagini: “La nostra vita è breve: parliamo continuamente dei secoli che hanno preceduto il nostro o di quelli che lo seguiranno, come se ci fossero totalmente estranei; li sfioravo, tuttavia, nei miei giochi di pietra: le mura che faccio puntellare sono ancora calde del contatto di corpi scomparsi; mani che non esistono ancora carezzeranno i fusti di queste colonne.” Per questo le immagini del passato sono attuali. Giochi di pietra senza tempo.


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