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Paolo Isotta

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IL malumore di Paolo Isotta, il più importante critico musicale degli ultimi decenni (celebrato qualche settimana fa al San Carlo di Napoli, per la passione di Amedeo Laboccetta), la sua proverbiale malmostosità erano una cifra, uno stile, una calcolata forma di autolesionismo, per potersi consentire tutto, e anche il contrario di tutto, fino all’estremo capriccio; se è vero che, dopo l’adorazione, giunse al vituperio dell’idolatrato Riccardo Muti, come sa bene Paolo Viola, che pure scrive del “carattere iperbolico ed apodittico dei suoi giudizi (…«il migliore di ogni epoca»…«il peggiore che abbia mai ascoltato»…ecc.) tendenti sempre ad irridere alcuni – meglio se grandissimi, come Abbado o Pollini – ed a magnificare altri, meglio se sconosciuti: l’importante per lui è «épater les bourgeois» e con ciò costruirsi la fama di supremo giudice che tutti sovrasta”.

Non è propriamente così. Anche le reazioni umorali di Isotta hanno sostanza critica, sono “capricci” motivati da una lotta contro il potere che va oltre la musica stessa. E di cui la musica è stata strumento. O non è così, Viola? E vale per Abbado come per Pistoletto, e altri mostri sacri che dell’arte hanno fatto un’arma. L’insofferenza di Paolo Isotta poteva anche essere apparente ingiustificata, ma era un metodo, un presidio di libertà fondato sulla autorità riconosciuta della dottrina. Isotta era più colto, e insinuava dubbi e incertezze. Non era irriverente, era intransigente. Era rigoroso e capriccioso. E non risparmiava nessuno. Per quanto intuiva della nostra affinità, mi rispettava e mi guardava a distanza. Io lo tenevo in grande considerazione, e condividevo anche i giudizi più estremi, le impuntature, gli sberleffi, gli sfregi.

Credo che, con esclusione dello spirito imprenditoriale, Isotta avesse la stessa libertà e spregiudicatezza critica di Leo Longanesi, interprete controtempo dei limiti del suo tempo, durante e dopo il Fascismo. Critico con Mussolini, non pensò che, dopo di lui, fosse arrivato il migliore dei mondi possibili, e tenne alto il suo spirito critico.

Eccone alcune illuminazioni: “Non sono le idee che mi spaventano, ma le facce che rappresentano queste idee; L’arte è un appello al quale troppi rispondono senza essere chiamati; I filosofi, è cosa strana, non capiscono nulla di arte, mentre gli artisti capiscono assai di filosofia: segno è che l’arte è anche filosofia, ma la filosofia non è arte; I nostri deputati leggono poco, si sente dal loro silenzio; Le dittature sono due: quella della libertà e quella dell’autorità; L’uomo mediocre è indispensabile e inutile. La sua forza sta nel rendere indispensabile la sua inutilità; Noi siamo il cuore d’Europa, ed il cuore non sarà mai né il braccio né la testa: ecco la nostra grandezza e la nostra miseria; Non è necessario esser dei geni; ci si può accontentare di una mediocrità, tanto mediocre, da star fuori del comune; Non interessarsi dell’arte può essere un male, ma interessarsene con cattivo gusto può essere peggio; Per il borghese lo Stato non esiste: esistono solo le tasse da pagare; Benedetto Croce: non capisce, ma non capisce con grande autorità e competenza; Bisogna trovare un fratello al Milite Ignoto; Ci si conserva onesti il tempo necessario che basta per poter accusare gli avversari e prendergli il posto; Conservatore in un Paese in cui non c’è niente da conservare; È meglio assumere un sottosegretario che una responsabilità; Fanfare, bandiere, parate. Uno stupido è uno stupido. Due stupidi sono due stupidi. Diecimila stupidi sono una forza storica; Il professore di lingue morte si suicidò per parlare le lingue che sapeva; La carne in scatola americana la mangio, ma le ideologie che l’accompagnano le lascio sul piatto; Non bisogna appoggiarsi troppo ai princìpi, perché poi si piegano; Nulla si difende con così tanto calore quanto quelle idee a cui non si crede; Siate enfatici e transigenti; Soltanto sotto una dittatura riesco a credere nella democrazia; Un’idea imprecisa ha sempre un avvenire; Veterani si nasce; Vissero infelici perché costava meno”. Paolo Isotta avrebbe sorriso e condiviso.


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