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Mario Botta

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L’ARCHITETTURA contemporanea è lontana, senza volto, nega la memoria. L’architettura di Mario Botta è vicina, umana, carica di storia. Dà senso al vuoto. Vedi Botta e senti Leon Battista Alberti, Bramante, Borromini, Louis Khan. La sua architettura parla e vive, come soltanto quella di Carlo Scarpa. Il suo spazio è spazio per l’uomo, uno spazio per la vita, non si compiace e non chiede stupore; aumenta il peso della tua anima. A Botta devi riconoscenza, per la grazia, per l’intelligenza, per la misura. La ragione della sua architettura è una architettura della ragione.

Mario Botta compie quest’anno ottanta anni. La sua architettura sente il magistero stretto Le Corbusier, di Carlo Scarpa e di Louis Khan, ed è caratterizzata dalla definizione di uno spazio forte e geometrico, spesso rivestito di mattoni in cotto sagomati con un attento disegno dei dettagli formali. Sono caratteristici della sua architettura materiali come il mattone e la pietra per edifici configurati in volumi puri, tagliati e attraversati da grandi spaccature: è il modulo del cilindro tronco nella chiesa di San Giovanni Battista a Mogno, e, con il successivo sviluppo formale, nella Cattedrale di Évry, presso Parigi. Fin dalle prime realizzazioni di case unifamiliari in Canton Ticino, il suo lavoro ha osservato molte tipologie edilizie: musei, scuole, banche, edifici amministrativi, biblioteche, ed edifici di culto.

Riconosciuto e premiato a livello internazionale, è stato studiato in numerose mostre e pubblicazioni anche come rappresentante di quella che viene talvolta chiamata la scuola ticinese di architettura. Dal 1996 è tra i fondatori dell’Accademia di architettura di Mendrisio, dove insegna e ha ricoperto la carica di direttore. Io ho collaborato con lui per la prodigiosa macchina scenica del Teatro alla Scala, con risultati che sono stati ammirati; ma, ancor più, sono da quattro anni il presidente del suo più importante Museo, il Mart di Rovereto. La cupola in vetro e acciaio è diventata il simbolo di Rovereto. Il Mart ha una collezione di circa 20.000 opere in cui sono rappresentati tutti i maggiori movimenti del secolo scorso: Futurismo, Novecento, Metafisica, Astrattismo, Arte Povera, Arte Concettuale, fino alle esperienze artistiche più recenti. Ma nei suoi spazi tutto è possibile. Sono quindi i differenti allestimenti temporanei che tracciano di volta in volta i percorsi. Il grande atrio di distribuzione centrale propone differenti scale di lettura e di utilizzo, con l’alternarsi di mezzanini e spazi che in taluni punti si dilatano dal livello di copertura sino al piano interrato e in altri vengono invece compressi con passaggi di altezza ridotta. Nell’alternarsi continuo tra ambienti generosi e passaggi limitati si gioca l’ingresso alle sale espositive, dove la configurazione spaziale più tranquilla, illuminata omogeneamente dall’alto, permette all’opera d’arte di essere protagonista.

Dice Botta: “L’espansione iniziale del Mart dal punto di vista urbanistico, al di là dei programmi auspicati dalle autorità, si può interpretare come premessa potenziale alla sua gestione futura. L’abbattimento – di per sé insignificante – del piccolo tassello di muro che separava corso Bettini (il vero foyer del museo) ha aperto una breccia che rispecchia, a distanza di vent’anni, le dinamiche culturali in corso. Mi piace pensare che l’apertura di quella breccia abbia condotto, dopo l’avvio di Gabriella Belli, alla stagione di Vittorio Sgarbi. I grandi pensieri passano talvolta anche da un innocuo tracciato urbanistico; una chiusura verso la collina può trasformarsi in un nuovo ingresso a un museo. Già con il primitivo impianto il Mart guardava lontano… Non sorprende che, di fronte alle nuove sfide del contemporaneo (che nel frattempo ha scoperto l’attualità del passato), appaia all’orizzonte un personaggio che racchiude in sé speranze e contraddizioni del nostro tempo. Benvenuto Vittorio Sgarbi alla guida del Mart, prototipo di una politica culturale umanistica nata attorno al Mediterraneo con l’introduzione di quei valori solo apparentemente nascosti nelle pieghe della memoria. Vittorio Sgarbi, con quel suo intuito geniale e sorprendente di accostamenti fra segni contemporanei e la memoria del grande passato, ha capito che la realtà del nostro presente può essere opportunamente interpretata”. Lo ringrazio, e gli auguro buon compleanno. Ottanta anni utili alla umanità.


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