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Adolfo Wildt, "Dux", 1923, Collezione privata

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SI APRE oggi al Mart di Rovereto la mostra “Arte è fascismo” che io, come presidente del Museo, ho fortemente voluto: il mio obbiettivo è separare la creatività, sempre individuale, dalla propaganda del regime che sostenne gli artisti, partiti con le prime avanguardie del Novecento, in particolare i futuristi,e l’architettura razionalista. Il primato dell’arte fu garantito dalla autonomia e dalla intelligenza dei critici, e fra essi in particolare due donne, che indicarono agli artisti la strada e ne stabilirono i principi estetici, a partire dalla straordinaria esperienza della pittura metafisica ,elaborata tra il 1913 e il 1918, tra Torino e Ferrara ,da Giorgio de Chirico, affiancato da Carlo Carrà, Filippo de Pisis e Giorgio Morandi.

Una esperienza chiave, tra Futurismo e Surrealismo, del tutto indipendente dall’impulso politico. Vent’anni di regime furono vent’anni di incredibile creativita,in assoluto candore, da Donghi a Cagnaccio di San Pietro, da Mafai a Ziveri. Il regime stava sullo sfondo. Dopo la fine del conflitto mondiale Vittorio Pica fu segretario generale della Biennale di Venezia, incarico che mantenne dal 1920 al 1926 . E’ in questo ruolo che egli ordinò, nel 1920 ,una mostra retrospettiva su Paul Cézanne e una personale di Alexander Archipenko; nel 1922, la mostra su “Modigliani, e la scultura ‘negra’”, affidata ai professori Carlo Anti e Aldobrandino Mochi, con l’obiettivo di documentarne la contiguità con le ricerche cubiste, futuriste ed espressioniste dell’ultimo decennio.

Nel corso degli anni Venti, nel clima di montante nazionalismo del regime fascista, Pica fu considerato un ‘esterofilo’ e un ‘passatista’: la nomina a segretario generale della Biennale passò ad Antonio Maraini, scultore di ispirazione classica, stretto collaboratore di Achille Starace e protagonista della politica culturale del Fascismo. È in questo mondo artistico che si forma la prima e la più radicale esponente di una critica d’arte militante, volta esclusivamente alla contemporaneità: Margherita Sarfatti, nata a Venezia nel 1880, formata in ambiente socialista e, dal 1909, responsabile delle pagine d’arte de “L’Avanti” . Nel 1912 incontra Mussolini, allora dirigente del PSI e si lega sentimentalmente a lui. Parallelamente all’esperienza di Ojetti, con la rivista “Dedalo”, la Sarfatti inizia la sua attività di animatrice culturale a Milano, nei primi anni Venti.

Il suo salotto, al numero 93 di Corso Venezia, è lo strumento per riportare Milano a una centralità culturale nazionale. Accoglie il gruppo futurista, letterati come Massimo Bontempelli e Ada Negri, la coppia di scultori Medardo Rosso e Arturo Martini. Nel 1922 fonda, con il gallerista Lino Pesaro e gli artisti Anselmo Bucci, Leonardo Dudreville, Achille Funi, Gian Emilio Malerba, Pietro Marussig, Ubaldo Oppi e Mario Sironi, il cosiddetto Gruppo del Novecento, le cui opere furono esposte per la prima volta nel 1923 alla galleria Pesaro di Milano. In seguito,nel 1927, alla XCIII Esposizione degli Amatori e Cultori di Belle Arti di Roma, nella mostra “Dieci artisti del Novecento italiano” parteciparono i principali pittori romani, fra i quali: Bartoli, Ceracchini, Guidi, Socrate, Trombadori, Luigi Trifoglio.

È significativo che la critica militante italiana prenda origine da una donna di grande personalità. E non è un caso che, anche dopo il Fascismo, tocchi a donne un ruolo di primo piano nel sostegno e nella promozione dell’arte contemporanea. Grandi furono il rilievo e l’influenza di Palma Bucarelli, già nel 1937 attiva alla Galleria Borghese e poi, su nomina di Giuseppe Bottai Ministro dell’educazione nazionale, direttrice, a partire del 1941, della Galleria Nazionale di Arte Moderna. Proiettata verso l’avanguardia, con incorruttibile convinzione ,nel 1944 riapre la Galleria con undici sale dedicate alla giovane pittura italiana, dando particolare rilievo a Morandi, Scipione, Savinio. Dunque il racconto di “Arte e Fascismo” a Rovereto è il racconto di un’altra storia. Con molte scoperte e molte rivelazioni. Con molta arte e poco fascismo. La mia conclusione è che nell’arte non c’è’ fascismo; e nel fascismo non c’è arte. La creatività è separata dal regime.


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