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IL SINDACO di Santa Caterina dello Ionio “Supa e Sutta” firmò una  ordinanza per proibire il gioco d’azzardo nei bar, e la fece affiggere in tutte le rughe. Chi voleva giocarsi i soldi a stoppa doveva ora organizzarsi in casa o nei catoi. Ma il provvedimento toccava anche Patruni e Sutta, togliendo il divertimento a mezzo paese e compromettendo in modo significativo gli introiti dei bar. Una idea non troppo brillante in periodo elettorale, che rischiava di intaccare la sua popolarità. Ma bisognava darsi una regolata, perché giù in marina qualcuno aveva rischiato di rimetterci le penne: una partita tra cognati alla Torre di Sant’Antonio che era degenerata.

Dopo una giornata particolarmente afosa di inizio agosto, al calar del sole il grecale aveva iniziato a scompigliare le onde, portando una brezza benedetta. I giocatori misero tavolo e sedie sulla porta di casa, in spiaggia, mentre le donne preparavano la cena. Intorno a loro c’erano numerosi parenti e familiari, più interessati alla sceneggiata del dopo partita che all’andamento della stessa.

“Oro, primiera e carte”, iniziò Lelè dopo la bella di scopa, “tre punti, ed otto li avevamo fanno undici”, e Giovanni, suo compagno sorrise soddisfatto.

Totò controllò i suoi punti e disse a Tonino che erano giusti. Toccava a loro pagare otto birre e quattro gazzose. La platea commentò la partita e la giudicò regolare. Fra loro c’erano due “franchi”, Pino Pennichella e Ciccio Samà, che avevano possibilità di bere anche se non avevano partecipato al gioco. Mena ed Antonietta lasciarono per un istante le altre donne in cucina a preparare la cena e portarono fuori le bevande ed i bicchieri.

“Questa è la prima e l’ultima”, disse Mena, “che a stomaco vuoto vi imbriacate!”.

A questo punto Tonino distribuì cinque carte ai giocatori per vedere chi capitava Patruni e chi Sutta. Lelè vinse la primiera con sette, asso e quattro. Totò si trovò in mano due assi ed un cinque e quindi Sutta. Una brutta combinazione.

“Intanto mi faccio il mio bicchiere”, disse Lelè Patruni, che non aveva bisogno di essere autorizzato per bere.

Si pulì per bene il mento con un tovagliolo di carta e si rivolse al Sutta.

“Totò fai tu una proposta”

“Io farei bere Tonino, il mio compagno”, rispose.

“Se fai bere anche il mio compagno va bene”, disse indicando Giovanni.

“No Lelè”, lo fermò subito, “sai bene che Giovanni io l’ho all’Urmu, e con me Sutta lui non tocca nemmeno una goccia !”.

L’estate precedente Giovanni aveva lasciato all’Urmu, senza bere, Totò. E questa cosa ancora gli bruciava. L’offesa doveva ancora essere lavata, ma non certamente con la birra. Era un anno che aspettava questa occasione. Era arrivata e non se la poteva assolutamente perdere. E per un buon quarto d’ora Patruni e Sutta tentarono di trovare un compromesso, mettendo in mezzo anche i “franchi”. Ma niente da fare: sarebbe stato più facile trovare un accordo tra israeliani e palestinesi per la striscia di Gaza.

La platea parentale rumoreggiava e scherniva i due contendenti, tifando ora per l’uno poi per l’altro. I toni diventavano sempre più accessi, e mogli e cognate ogni tanto facevano capolino dalla cucina per tentare di rasserenare gli animi.

“Sbrigatevi che è quasi pronto ed i bambini devono mangiare”, ma neanche questo li commosse più di tanto. Patruni e Sutta non avevano intenzione di mollare, erano andati troppo avanti.

Quando Totò U Sutta capì definitivamente che non c’era proprio più margine di trattativa lanciò un anatema, che come insegna il Nuovo Testamento diventa una vera e propria sentenza.

“Lelè”, disse calmo, “o mi liberi le birre oppure te le bevi tu, e noialtri  restiamo all’Urmu in comitiva!”. E si mise a braccia conserte.

Tutti sgranarono gli occhi, perché dire una cosa del genere era rara. E si girarono verso Lelè, che per non perdere la faccia, altrettanto tranquillamente disse semplicemente:

“E così sia. Dite di dare da mangiare ai bambini, così Intanto io mi faccio le birre”. Ed iniziò lentamente, ma inesorabilmente, a calarsele tutte.

L’ultima cominciò ad uscirgli quasi dal naso. Stava affogando, cambiò colore e svenne. La più lesta a rendersi conto della situazione fu sua moglie Antonietta che mandò a chiamare Giannini alla Guardia Medica. Il medico arrivò di corsa, grazie a Dio, gli misurò la pressione e lo tirò su con dei Sali. E mentre gli metteva una pezza fredda sulla fronte si girò verso i presenti e disse semplicemente: “Siete dei cretini”, rimise tutte le sue cose in borsa ed andò dal sindaco a riferire, come era di dovere.

Quando affissero l’ordinanza il vecchio Ceraso, saggio del paese, commentò: “A me quello che mi fa girare più le palle è il fatto che chi non si è fatto i cazzi suoi è astemio!”. E per lui questa era una aggravante.


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