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La battaglia italiana in Europa deve essere quella di costruire un effettivo diritto di asilo e di lavoro in Europa imponendo al servizio diplomatico europeo di favorirne un esercizio di massa investendo su sedi europee in ogni territorio caldo dove vanno tutti quelli che scappano dalle guerre o dalla povertà. Non c’è altra via per disinnescare la più grande bomba sociale e dare un segnale forte alla comunità internazionale dell’esistenza del soggetto politico Europa. Significa una visione aperta all’Europa del futuro e all’evoluzione della storia perché i flussi migratori ci sono sempre stati, ma oggi assumono dimensioni epocali. Questo è il sogno di una grande Europa che c’è e prende il posto di una piccola Europa che sa solo litigare e farsi del male.

Non è stata una passerella. Il consiglio dei ministri a Cutro voluto dalla premier, Giorgia Meloni, è un momento di partenza non certo di commemorazione che arriverebbe peraltro fuori tempo massimo. Si sono prese decisioni importanti che riguardano i flussi migratori e chiamano in causa il ruolo dell’Europa, ma è arrivato anche il giorno dell’inasprimento delle pene e delle sanzioni per i trafficanti di vite umane.

Si sono prese dunque decisioni. Soprattutto si è percepita una consapevolezza del governo Meloni che non è quella della retorica delle porte chiuse, ma piuttosto quella della realtà di porte aperte in un contesto di solidarietà razionale che fa finalmente i conti con il problema demografico italiano – che è una quota rilevante di quello europeo – e la forza strategica di riunire le due sponde del Mediterraneo in una prospettiva di sviluppo alla pari che darà all’Europa il suo nuovo hub energetico e della manifattura. Per la semplice ed esclusiva ragione che da qui al 2100 l’Europa avrà la metà della popolazione e non potrà, quindi, pagarsi il suo welfare e l’Africa vedrà quadruplicare la sua popolazione per cui non avrà più le risorse neppure per sostenere il suo già precario equilibrio sociale.

Questi due mondi, Africa e Mediterraneo allargato da una parte e Europa dall’altra, si devono incontrare non con le parole ma con i fatti prima che il fuoco dell’incendio del disordine globale bruci i margini di manovra operativi. Per quanto riguarda noi le sfide da vincere, una volta superato il guado culturale che separa una Destra sovranista da una Destra conservatrice inclusiva, sono due. Una in casa e una in Europa. La prima ci riguarda direttamente. Dobbiamo tornare a essere un Paese capace di avere un funzionariato di Stato che non ha paura di prevenire e prevedere perché stragi di vite umane come quella di Cutro non si ripetano più. La normalità dei calabresi che sanno che cosa significa scappare dalla propria terra per paura, povertà e dolore ha segnato uno spartiacque culturale in questi giorni terribili della grande vergogna civile che appartiene all’Europa e a noi come Paese in egual misura.

Perché se l’Europa non fa niente questo non è un buon alibi perché anche noi non facciamo niente. Perché chi scappa dalla guerra deve essere accolto vivo come è scritto nelle leggi della civiltà mondiale che sono state infrante a cento metri dalla riva di Steccato di Cutro. È urgente per il nostro Paese tornare a strutture burocratiche che operino in autonomia con una visione di lungo termine, non che passino il tempo a inseguire le propagande dei ministri di turno. È un tema che approfondiremo in un altro momento. Quello che conta oggi è altro. Il governo Meloni a Cutro ha preso decisioni. Durezza assoluta contro i trafficanti di esseri umani punendo con pene rafforzate un reato ignobile che diventa universale.

Con una giurisdizione penale che in modo soggettivo e oggettivo riguarda non più solo gli scafisti, ma anche tutti quelli che a qualunque titolo partecipano a queste operazioni. Più investimenti sui centri di accoglienza in tutte le regioni. Norme contro il caporalato. Soprattutto ripristino dei decreti flussi con i lavoratori regolari che puntano a elevare tutte le quote anche quelle fino a oggi coperte da chi entrava illegalmente. Per farlo sono stati decisi nuovi criteri con quote a livello triennale su richiesta dei settori produttivi e corsia preferenziale per chi ha fatto in patria corsi di formazione riconosciuti da noi. Il punto strategico, però, è un altro e la risposta non può che venire da un’azione concertata a livello europeo e per la dimensione del fenomeno anche a livello di Nazioni unite e di organizzazioni multilaterali. Perché si opera in un quadro globale pieno di focolai di guerra e terrorismi in un mondo multipolare.

La premier Giorgia Meloni e il vice premier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani, hanno mostrato piena consapevolezza del contesto epocale del fenomeno con cui bisogna misurarsi arrivando a ipotizzare lucidamente che è urgente affiancare al progetto Mattei un vero e proprio Piano Marshall europeo. Noi nel nostro piccolo ci permettiamo di suggerire che in Europa questa volta è necessario fare proposte concrete e cogliere le nuove, timide sensibilità politiche perché vengano convogliate in una decisione operativa. A nostro avviso, bisogna partire dal fatto che abbiamo messo in piedi in Europa un servizio diplomatico enorme che non serve pressoché a niente su questo terreno così delicato. Bisogna cominciare a parlare di domanda di asilo in Europa e dobbiamo imporre a questo imponente servizio di investire su sedi diplomatiche europee in Turchia come in Siria e in tutti i territori caldi dove c’è già chi scappa o dove vanno quelli che scappano da altre guerre o da altre povertà. In quelle sedi diplomatiche europee deve essere possibile per tutti coloro che scappano fare domanda di asilo e, una volta ottenutolo, prendere un regolare volo e raggiungere in sicurezza la destinazione europea. Sarebbe un modo anche per rafforzare l’idea che esiste l’Europa al passo con i tempi che viviamo e che fa oggi quello che si era detto di fare molto tempo fa con un esercito europeo.

Sarebbe un modo per fare esistere un diritto di asilo e di lavoro europei che rappresentano un segnale altrettanto forte verso la comunità internazionale dell’esistenza in carne e ossa del soggetto politico Europa. Perché il soggetto politico Europa non esiste se non ha consapevolezza di doversi fare carico del suo problema demografico che è il dimezzamento della popolazione entro il 2100.

Perché il soggetto politico Europa non esiste se non si fa carico della quadruplicazione della popolazione africana che significa mettere a rischio il già precario equilibrio sociale di questi territori e alimentare una rotta di spostamento del Mediterraneo allargato verso l’Europa che è la più grande bomba sociale che una classe dirigente europea all’altezza non può non disinnescare. Significa avere una visione finalmente aperta all’Europa del futuro e all’evoluzione della storia perché i flussi migratori ci sono sempre stati nella storia e oggi assumono dimensioni epocali. Questo è il sogno di una grande Europa che c’è e prende il posto di una piccola Europa che sa solo litigare e farsi del male


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