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FACCIO prima una sintetica premessa: ogni approccio ad un riassetto costituzionale del nostro sistema regionale non può, per nessun motivo, avvenire senza prima aver reso omogenei ed uniformi il Livelli Essenziali delle Prestazioni; senza prima aver reso comparabili gli attuali squilibri legati ai redditi pro capite delle Regioni del Mezzogiorno e quelli del Centro Nord. Qualcuno, di fronte a questa premessa e a questo obbligato vincolo, dirà che trattasi di una richiesta impossibile e io rispondo che altrettanto è impossibile ogni azione che non risolva prioritariamente questa assurda distanza, questa assurda dicotomia che per settanta anni, cioè dalla nascita della Repubblica non siamo riusciti né a risolvere, né a ridimensionare. Ci continuiamo a masturbare con le percentuali degli investimenti al Sud in modo da riequilibrare questa atavica distanza ma quelle percentuali, come ripeto da sempre rimangono tali e tali rimarrebbero anche invocando autonomie differenziate; le considerazioni che seguiranno sono sicuramente criticabili e forse utopiche ma è forse giunto il momento di usare anche l’utopia per contrastare rischiose forme di abbattimento del senso di unitarietà del Paese. Conviene ogni tanto fare un esame di coscienza ed ammettere che spesso ci siamo autoconvinti di certezze che certezze non erano.

Mi riferisco all’approccio con cui abbiamo affrontato il tema delle autonomie differenziate richieste dalle Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Rincorrere delle omogeneità economiche in una realtà geografica e geo economica come quella del nostro Paese significa illudersi di poter costruire nel tempo un assetto ideale solo teorico capace di garantire condizioni socio – economiche tali da rendere autosufficienti tutte le varie tessere che costituiscono il mosaico Paese. Ed allora siamo talmente convinti di questo possibile patrimonio territoriale ideale da non accorgerci e, cosa più paradossale, da non capire che in appena il 20% dell’Italia (Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna hanno superficie territoriale globale di circa 64.000 chilometri quadrati) si genera oltre il 40% del Prodotto Interno Lordo nazionale ed il PIL pro capite si attesta su un valore pari a circa 34.000 euro mentre quello presente nelle altre Regioni si attesta: in quelle del centro su un valore medio pari a 25.000 euro e in quelle del Sud su un valore medio pari a 18.000 euro.

Ebbene, questa consolidata diversità strutturale non possiamo non conoscerla, non possiamo non ammetterla. Né, in questo lungo arco temporale che ha caratterizzato le evoluzioni e le involuzioni politiche – istituzionali del nostro Paese, si è riusciti a ridimensionare tali distanze e, soprattutto, a costruire condizioni capaci di motivare vere forme di solidarietà tra le distinte realtà socio – economiche. Anzi, e l’esempio avanzato dalle tre Regioni prima richiamate lo conferma, è cresciuto proprio negli ultimi venti anni una paura da parte delle Regioni “ricche”: la paura di perdere questo status, questa rendita di posizione proprio a causa di una sistematica erosione delle economie accumulate da parte di determinate Regioni per supportare realtà territoriali che, per cattiva attività gestionale, depauperavano i margini creati da un limitato numero di realtà regionali.

È facile, in questi casi, invocare lo spirito della nostra Costituzione, è facile parlare di “unità nazionale” quando le sensazioni spontanee vengono utilizzate da forze politiche per aggregare il consenso e non per cercare di evitare che simili convincimenti diventino i pregiudizi portanti di un nuovo impianto costituzionale del Paese. Un impianto che, considerando zavorra alcune realtà regionali, considerando veri vincoli alla crescita proprio delle realtà regionali più avanzate, ci porti nel tempo verso una realtà federale. In fondo il virus del “federalismo” è nato con la Lega e, a mio avviso, il fatto che negli ultimi quattro anni, con il nuovo leader, sia scomparso il riferimento portante alla “Padania” e sia cresciuto velocemente questo innamoramento all’intero territorio nazionale, si conferma, in modo inequivocabile, che non è stato assolutamente debellato questo convinto spirito federale. Ma allora dobbiamo convincerci che le motivazioni avanzate dalle tre Regioni non possono lasciare le altre realtà regionali solo preoccupate che un simile riconoscimento si trasformi automaticamente in un danno per le singole realtà regionali prive di una tale autonomia, perché non è questa la negatività di una simile operazione; è utile invece convincersi che questa corsa all’autonomia, avanzata ultimamente anche dalla Regione Campania, porta automaticamente ad uno scollamento dell’impianto unitario del Paese e ci si convince che esiste una sommatoria di soggetti sicuri che il riequilibrio delle condizioni socio – economiche delle distinte realtà del Paese non sia più un obiettivo chiave della nostra Costituzione.

Prende corpo così una obbligata nuova linea strategica: una serie di Regioni, solo a titolo di esempio quelle interne all’Obiettivo Uno della Unione Europea e continentali come la Campania, l’Abruzzo, il Molise, la Basilicata, la Puglia e la Calabria dovrebbero chiedere al Governo di dare vita alla costituzione di una unica Regione e questa richiesta va supportata da un articolato progetto organizzativo che consenta l’attivazione di una concreta e misurabile procedura costituzionale. Non inseguiamo la ipotesi di una aggregazione delle Regioni ma di una nuova unica realtà regionale motivata proprio dalla esigenza di costruire le condizioni per crescere e raggiungere le caratteristiche macroeconomiche che caratterizzano le tre Regioni Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna. Infatti i dati che caratterizzano questa nuova macro Regione sono molto distanti da quelli delle tre Regioni che hanno chiesto l’autonomia differenziata; tali realtà regionali insieme si attestano su un valore di circa 73.000 chilometri quadrati (il 24% dell’intero Paese) e insieme partecipano alla formazione del Prodotto Intero Lordo per il 15,5 %, con un PIL pro capite di 19.000 euro.

In fondo molti penseranno che una simile proposta nel lontano 1950 fu portata avanti, con la Legge 646, con la costituzione della Cassa del Mezzogiorno: all’epoca non era possibile modificare una Costituzione giovane al cui interno le Regioni individuate erano ancora realtà geografiche prive di caratteristiche organizzative; ma la Cassa in realtà denunciava una chiara esigenza di ricercare le condizioni per rendere omogenee delle economie che già all’epoca erano fra loro distanti. Solo alcune ipotesi gestionali, solo alcune possibili linee strategiche per una simile macro realtà regionale: I fondi comunitari del Programma 2021 – 2027 che per tali realtà sono pari al 85% di 43 miliardi di euro dovranno essere gestiti da una banca (possibilmente Cassa Depositi e Prestiti e Banca Europea Investimenti). I Fondi PON e POR dovranno far parte di un unico programma costruito e condiviso dalla macro regione e dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e non da singoli Dicasteri. La macro regione identifica un quadro di interventi infrastrutturali prioritari da avviare a realizzazione e da completare in un arco temporale non superiore ad un quinquennio. Vengono unificate tutte le delegazioni ministeriali presenti nelle singole realtà regionali attuali; solo a titolo di esempio viene istituito un unico provveditorato alle opere pubbliche. Vengono istituiti in tale nuova realtà istituzionale i “Distretti logistici” e viene istituito un unico organismo preposto alla gestione della offerta portuale. Sicuramente a prima vista questa proposta è utopica però non ha nessun retro pensiero ed è finalizzata davvero a ricercare le condizioni per rendere queste attuali realtà del Mezzogiorno quanto più omogenee a quelle delle tre Regioni che richiedono autonomia.

Questa proposta, tra l’altro, è un utile modo per attaccare e rendere innocuo il virus del federalismo sempre presente nelle Regioni del Nord. Un virus che mai come in questo momento può davvero incrinare il nostro assetto costituzionale; un virus che toglierebbe allo Stato la coscienza di ricercare tutte le condizioni per riequilibrare gli assetti socio economici del Paese; un virus che annullerebbe la volontà del Governo di costruire un assetto infrastrutturale organico del Paese. Questo pericoloso virus pensavamo di averlo distrutto per sempre e invece, in modo epidemico, è ricomparso.


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