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La strategia di Palazzo Chigi: Meloni conferma che l’Italia non può che accodarsi all’Europa ma bisogna riformare il patto si stabilità


Intorno al tavolo un paio d’ore, un occhio agli indici dei mercati in caduta libera, un orecchio a Bruxelles dove il vicepremier Tajani faceva la stessa cosa con in colleghi europei e il Commissario al commercio Sefkovic. Un solo punto in agenda, a Roma come a Bruxelles: la risposta alla mannaia di Trump sul commercio e sulle merci. Alla fine la linea a Roma è mandato pieno a Bruxelles perché avvii le trattative e decida le contromosse; servono risposte ferme e compatte ma anche ragionate.

Calma e gesso, dirà in serata la premier Meloni ai microfoni del Tg1: “Quella dell’amministrazione Usa è una scelta sbagliata, che danneggia tutti ma non bisogna fare allarmismo, non è la catastrofe di cui sento parlare. Studieremo l’impatto reale sul nostro export, filiera per filiera, ci confronteremo con tutte le categorie”. Ribadisce l’allineamento con Bruxelles e al fianco dell’Europa, “ma la nostra linea e le nostre richieste – avverte offrendo una man tesa all’agitatissimo Salvini – potrebbero anche non essere del tutto sovrapponibile”. Ieri sera comunque Bruxelles aveva già ricevuto da palazzo Chigi, dai ministri Urso e Giorgetti per mano del vicepremier Tajani, la lista dei prodotti e delle filiere da proteggere.

E’ una linea sofferta, subìta, quella della premier. Non doveva andare così. Da tre mesi Giorgia Meloni taceva tatticamente in attesa di fare “il ponte tra Usa e Ue” (la definizione fu di Politico.eu e Meloni la accettò schernendosi). Nelle ultime 48 ore le speranze sono finite in frantumi e l’aspettativa oggi è assai più amara e grama. L’Italia non può che accodarsi all’Europa ma con tutti i paletti dettati da una maggioranza divisa soprattutto nei rapporti con la Ue. C’è l’anima sovranista di Fratelli d’Italia che vede con timore l’allineamento totale di Forza Italia alla linea von der Leyen e soffre la deriva all’estrema destra e anti Ue della Lega di Salvini. “Abbiamo un altro grosso problema da affrontare, non è tempo di recriminazioni” dice la premier al Tg1 chiedendo anche alle opposizioni proposte e non scontro.

Con l’Europa quindi, perché non si potrebbe fare diversamente. Ma con giudizio. Si potrebbe recriminare sul tempo perso. Ma ora è inutile. Conta quello che succede d’ora in poi. E comunque Bruxelles non ha perso tempo: appena rieletta, da luglio a oggi Ursula von der Leyen ha girato il mondo (ieri ha parlato alle cinque del mattino, le 10 in Kazakistan) per aprire nuovi mercati sostitutivi di quello americano.

Von der Leyen ha parlato chiaro all’alba italiana e ha dato la linea. “Chi sfida uno di noi, ci sfida tutti. La nostra unità è la nostra forza. Siamo sempre stati pronti a negoziare con gli Stati Uniti, per eliminare tutti i rimanenti ostacoli al commercio transatlantico. Ma allo stesso tempo siamo pronti a reagire. Stiamo già completando un primo pacchetto di contromisure per proteggere i nostri interessi e le nostre imprese nel caso in cui i negoziati dovessero fallire”. Meloni ha cancellato gli impegni di giornata e ha riunito intorno a mezzogiorno la task force italiana, i ministri dell’Economia Giancarlo Giorgetti, delle Imprese Adolfo Urso, degli Affari europei Tommaso Foti, dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, e i due vicepremier e ministri Matteo Salvini e Antonio Tajani collegato da Bruxelles.

Sul tavolo, come ha spiegato più tardi il ministro Urso nel question time al Senato, la diversificazione dei mercati dell’export, paese per paese e filiere per filiera. Solo per l’Italia gli Stati Uniti valgono il 10,7% del totale dell’export (che vale 62,3 miliardi) mentre le importazioni hanno toccato quota 29,3 miliardi di euro (4,6% del totale), con un saldo positivo di 38,9 miliardi di euro. La prima medicina sono quindi “nuovi accordi commerciali di libero scambio” con mercati alternativi e paesi terzi come Mercosur, India e altre economie emergenti nell’area dell’Indopacifico, in Africa e nel Golfo. Poi ci sono le richieste all’Europa.

E’ sempre Urso ad elencarle come farà Meloni in serata: immediata sospensione delle regole del Green deal “che hanno portato al collasso il settore dell’auto; un immediato “shock da deregulation” che liberi da lacci e lacciuoli le imprese; l’introduzione del “buy european” che deve quanto meno fare da specchio al “buy american” suggerito da Trump; la preferenza del made in Europe in ogni appalto europeo. “Chiederemo all’Europa di toglierci i dazi autoimposti a cominciare magari dalla revisione del Patto di stabilità” ha aggiunto Meloni in serata.

Questo pacchetto, dice Urso, “sarebbe già in grado di proteggere il tessuto imprenditoriale europeo senza entrare in conflitto aperto con gli Stati Uniti”. Il titolare del made in Italy ripete che rispondere “con dazi ad altri dazi” peggiorerebbe le conseguenze: secondo la Bce i dazi Usa avrebbero un impatto dello 0,3% sulla crescita Ue; con le eventuali contromisure l’impatto salirebbe allo 0,5%”.

Tajani da Bruxelles parla di “un approccio fermo ma basato sul dialogo, volto ad evitare un’ulteriore escalation sul fronte commerciale”. Il commissario Sefkovic avrà già oggi un primo contatto con Washington. Tajani ha affidato al Commissario europeo la lista dei prodotti italiani su cui bisognerebbe intervenire per essere tutelati, whisky, tutta la produzione vinicola, cibi, la gioielleria, le pietre preziose, “una lista di circa trenta titoli”.
E poi c’è Salvini. Per tutto il giorno, da mattina a sera, trasmette note con cui difende la strategia di Trump e attacca l’Europa. “Se gli Stati Uniti hanno deciso di tutelare le proprie imprese – scrive in una nota il gruppo economico della Lega, per intendersi Borghi, Bagnai e simili – l’Italia deve difendere con determinazione il proprio interesse nazionale anche alla luce dei troppi limiti dell’Europa”. Per dirla più chiara: “L’Europa prima di tutto pensi a tagliare burocrazia, vincoli e regole”.

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