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Giorgia Meloni

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Dopo la tregua del tycoon sulle tariffe la premier Meloni ha nuovi margini per la trattativa con gli Usa. Dazi, difesa, Ucraina e Medio Oriente tra i temi sul tavolo


Giorgia Meloni tira un sospiro di sollievo all’indomani della moratoria di tre mesi sui dazi reciproci. La presidente del Consiglio prepara il volo oltre oceano fissato per il 17 aprile. Non dovrà metterla all’incrocio dei pali. Ci ha già pensato il tycoon americano a cambiare strategia, a ritirarsi nella propria metà campo.

Il faccia a faccia con The Donald non risulterà decisivo per le sorti del match Usa-Europa. Nel corso del colloquio l’inquilina di Palazzo Chigi si servirà del rapporto intessuto con il tycoon americano per provare a farlo riflettere. Questo lo potrà fare. Ha un mandato, Meloni, della presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen. Sarà la prima visita ufficiale di una premier che in fondo fin qui ha lavorato per essere lei la “pontiera” tra le due sponde dell’Oceano. È un viaggio ad altissimo rischio, perché l’interlocutore che si ritroverà davanti può mutare idea da un momento all’altro.

Al contempo il peso del viaggio sarà inferiore rispetto a 48 ore fa, perché la decisione di Trump di congelare i dazi per 90 giorni è come se avesse anestetizzato il quadro internazionale. In ambienti di governo nessuno osa sbilanciarsi anche perché da oggi al 17 mancano sei giorni e tutti sanno che in questo frangente potrebbe accadere qualcosa sia cosa. Ed è la ragione per cui la formula utilizzata dalla stessa presidente del Consiglio in queste ore è più o meno questa: «Non ho la palla di vetro». Frase che lascia trapelare il livello di incertezza in cui si trova Meloni e in cui si trova il resto del mondo appeso alle uscite bislacche del presidente americano.

Ovviamente gli uffici di Palazzo Chigi e tutti i diplomatici preparano un bilaterale con il nuovo presidente americano che non dovrà affrontare soltanto – si fa per dire – la questione dazi, ma passerà in rassegna il dossier Ucraina, il Medio Oriente e anche i rapporti con la Cina. Senza perdere di vista le richieste del tycoon sulla Nato. Ed è proprio su questo filone Meloni confermerà al presidente americano che a «giugno saliremo dall’1.56% al 2% di Pil in spese per la difesa e poi faremo uno sforzo ancora maggiore».

Va da sé la premier italiana è consapevole che il viaggio negli Stati Uniti potrebbe darle un ritorno di immagine. Forse a oggi l’aspetto più significativo. Non a caso la premier intende cavalcare il faccia a faccia vendendolo all’esterno come il primo tra un presidente di uno Stato europeo e Trump dopo la mossa sui dazi. Insomma, come dicono in Transatlantico, «la narrazione prevarrà sulla realtà». D’altro canto, non deve più portare a casa risultati ma può trattare liberamente con il tycoon. Per l’Italia, prima di tutto, ma non perdendo di vista l’Europa. Dovrà infatti seguire i consigli che le arrivano dal Ppe e non snobbare la Francia, che resta uno dei stati motori della Ue.

In questo quadro si fanno sentire le opposizioni. Elly Schlein, ospite a Tagadà su La7, la mette così: «Cosa ci aspettiamo dalla visita di Meloni negli Usa? Che il governo contribuisca al negoziato dell’Unione europea che deve essere unitario perché non dobbiamo lasciare spazio a Trump di pensare di dividere l’Ue facendo trattative bilaterali. E’ un negoziato che non sarà semplice ma l’incertezza non fa bene a nessuno. E bisogna capire cosa mettere nel piatto di quel negoziato. Chi oggi sta finanziando Trump sono le big tech che pagano meno tasse in Italia e in Europa rispetto a nostre aziende». Dall’altra il capogruppo del M5S Riccardo Ricciardi chiede che la premier prima del viaggio negli Stati Uniti si presenti in Parlamento: «Abbiamo chiesto che la premier Meloni venga in Aula prima della visita negli Stati Uniti e durante lo svolgimento del Def. La situazione è talmente grave – ha detto Ricciardi – che Meloni non può continuare a dire “’non preoccupatevi”».

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