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Da anni nella ricorrenza del 9 maggio, sui social soprattutto, si ricordano assieme lo statista Aldo Moro e l’attivista Peppino Impastato. Due meridionali, il primo pugliese, il secondo siciliano, morti nello stesso giorno in circostanze e contesti molto diversi.

Aldo Moro ucciso in una R4 rossa come il colore delle Brigate che in maniera simbolica lo depositano in via Caetani tra piazza del Gesù e via delle Botteghe Oscure a simboleggiare quel Compromesso storico tra Dc e Pci, partiti che con fermezza non avevano voluto trattare per liberare l’illustre e scomodo prigioniero.

Tutti i media del mondo trasmettono quell’immagine realizzata da una tv privata romana arrivata per prima su quel luogo della Capitale.

Peppino, invece, viene trovato con le carni smembrate su un binario di ferrovia vicino alla sua Cinisi, alle porte di Palermo. La prima versione dei carabinieri, che reggerà per tempo, è che l’attivista che denunciava su Radio Out il parente capomafia don Tano Badalamenti era saltato con una bomba da lui preparata mentre compiva un attentato.

Il giorno dopo una breve di cronaca tra le pagine dei giornali interamente e giustamente dedicate alla morte di Moro.

Per molti storici quel giorno morì la Prima Repubblica. Moro era l’emblema e la coscienza critica della Democrazia Cristiana, il partito-Stato italiano che includeva sindacalisti e Confindustria, destra dorotea e sinistra di Base, cattolici del dissenso e oltranzisti vaticani.

Moro era l’uomo delle svolte storiche. Parla per 9 ore al Congresso di Napoli per aprire al centrosinistra e viene assediato dalle vicende del Piano Solo.

Con convergenze parallele astruse ma nodali apre al Pci. Sarà l’agnello sacrificale di una storia terribile che gli uomini delle Brigate Rosse non seppero gestire liberando il prigioniero.

Moro, lucido nella prigione del popolo, comprende che lo hanno lasciato solo a morire. Non vuole nessuno del suo partito ai funerali chiesti solo in forma privata. Quelli di Stato sono celebrati contro la sua volontà. 

Moro vivo sarebbe stato un enorme problema per il cuore dello Stato, che continuò a battere in forma infartuata per quel trauma che porterà Cossiga alla depressione perenne e la Dc ad una delle sue più terribili maledizioni con il fantasma di Moro che ancora compare come il padre di Amleto sul teatro della politica.

E anche su Aldo Moro sarà un film, “Buongiorno notte” di Marco Bellocchio, a regalare al nostro immaginario il prigioniero libero che esce per Roma a dare una svolta che in molti impedirono. E ora lo stesso regista porta a Cannes il seguito. “Esterno notte”, miniserie Rai in sei puntate che prima potremo vedere al cinema con l’interpretazione di Gifuni su quello che accade fuori dal covo brigatista in quei terribili giorni. 

Moro e Impastato cercavano democrazia. Quella cattolica e quella proletaria. Due chiese diverse con uguali martiri. Ricordiamoli con le loro idee evitando le confusioni.


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