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I FIRMATARI PROMOTORI:

GERARDO BIANCO
Presidente Associazione Nazionale degli interessi del Mezzogiorno d’Italia
ADRIANO GIANNOLA
Presidente della Svimez
SANDRO STAIANO
Presidente Osservatorio sul Regionalismo Differenziato
PELLEGRINO CAPALDO
Professore Emerito Università La Sapienza di Roma
PAOLO POMBENI
Professore Emerito dell’Università Alma Mater di Bologna
MASSIMO VILLONE
Presidente Coordinamento per la Democrazia Costituzionale
UGO PATRONI GRIFFI
Presidente Autorità di Sistema Portuale Mare Adriatico Mediterraneo Meridionale, ordinario diritto commerciale Università Aldo Moro di Bari
PIETRO MASSIMO BUSETTA
Presidente Istituto Esperti Studi Territoriali (Ises)

I PUNTI DEL MANIFESTO

Il manifesto si articola in sei punti:

A – Dare al Sud più infrastrutture efficienti che vuol dire più risorse pubbliche, questo è il primo punto perché usciamo da una lunga stagione di rapina del Nord a spese del Sud, e capacità professionali di spendere bene e presto quelle risorse per fare le infrastrutture che servono non per fare piacere agli amici degli amici; se si vuole ridare competitività all’Italia intera e smetterla di scaricare sull’Europa le proprie responsabilità, bisogna prendere atto che non solo al Sud non arriva il 40% degli investimenti, la cosiddetta quota Pescatore, necessaria per perseguire un effettivo disegno di riequilibrio tra le due Italie, ma si trasferisce addirittura meno di quanto gli spetterebbe in proporzione alla popolazione, il 27,8 rispetto al 34,3, che significa un 6,5% in meno che vale malcontato 62,3 miliardi. Tale operazione verità è propedeutica a ogni generica affermazione di sviluppo, che apparirebbe in questo modo di principio se non di maniera, e a qualsiasi pretesa di maggiore autonomia. La regola Ciampi di destinare al Sud il 45% della spesa in conto capitale mettendo insieme risorse ordinarie e contributi comunitari aggiuntivi, resta l’obiettivo strategico da perseguire nel medio termine e indica la lungimiranza di uomini che hanno cultura di Stato e di mercato e sanno guardare lontano. Si utilizzino per davvero i 20 miliardi disponibili nel Fondo di Sviluppo e di Coesione e si dimostri di sapere impiegare in cofinanziamento i contributi comunitari con la stessa efficienza della macchina della prima Cassa guidata da Pescatore che l’Economist definì la lepre ed è esattamente la lepre di cui oggi le donne e gli uomini del Sud non la classe politica e i suoi clientes hanno vitale bisogno. Perché la Napoli-Bari e l’Alta Capacità ferroviaria fino a Palermo-Augusta diventino capitoli di spesa, cose che si possano toccare e non enunciazioni programmatiche senza copertura. Insomma, fatti non parole e un ruolo-chiave a livello centrale – tecnico e strategico – che metta in riga le Regioni e sottragga il Sud allo scippo permanente del Nord attraverso i canali istituzionali territoriali, enti collegati e imprese pubbliche. Attenzione, dare al Sud le infrastrutture di cui ha vitale bisogno non significa non fare più opere al Nord, sarebbe suicida, le risorse nazionali e comunitarie ci sono per fare le une e le altre; la dieta che deve fare il Nord, con il suo primato di dipendenti pubblici, riguarda l’assistenzialismo.

B – Avere più impresa privata che è disposta a investire nei territori meridionali attraverso la conferma e il rafforzamento del credito di imposta e la promozione in modo selettivo di Zone economiche speciali (Zes). Sono importanti e possono essere un reale moltiplicatore se le agevolazioni fiscali aggiuntive rispetto al credito di imposta sono indirizzate in modo selettivo solo in alcune aree delle regioni meno sviluppate del Sud. Possono essere decisive per attrarre investimenti di player internazionali, per il trasporto marittimo e la movimentazione delle merci nei porti del Mezzogiorno. L’importante è che tutto avvenga in una logica sistemica coerente come Paese.

C – Investire sul talento giovanile. Affrontare e risolvere il tema strategico di chi lavora per questa impresa privata disposta a investire reclutando e motivando le intelligenze disponibili prima che emigrino per non tornare più. Occorre investire in modo significativo e integrato in scuola, università e ricerca

D – Dotarsi di un capitale sociale che tuteli gli investimenti nei territori meridionali sottraendo chi ha un minimo di attività in proprio dalla tenaglia della criminalità organizzata e qui è decisivo il ruolo dello Stato centrale; sottrarre agli enti territoriali la gestione delle gare europee per i fondi comunitari, per cambiare approccio, cultura e metodo di lavoro sarebbe bene che a esaminare i bandi di gara e a procedere alle assegnazioni fossero i funzionari europei con tempi certi e criteri trasparenti resi pubblici e consultabili da tutti.

E – La grande Popolare e la nuova Spa con investitori esteri e interconnessioni con Mediocredito centrale e Cdp. Il Mezzogiorno non ha bisogno di una nuova Banca del Sud ma di perseguire e attuare un progetto di aggregazione delle Popolari ripulite, dopo avere venduto crediti deteriorati, senza diritti di primogenia per alcuno, con una governance messa in sicurezza e un capitale adeguato. Da realizzarsi attraverso le citate aggregazioni, operazioni di mercato che coinvolgano imprenditori, investitori internazionali, soggetti istituzionali e, all’occorrenza, con un utilizzo appropriato di strumenti fiscali. Questa banca, non nuova, frutto di aggregazione tra Popolari e soggetti di mercato, di dimensioni quantitative e qualitative adeguate, avrà un doppio itinerario: la Popolare, acquisizione di banche popolari dove l’azionariato è di qualità e esprime il meglio dell’imprenditoria meridionale da aggregare e consolidare; la SPA che dovrebbe mettere insieme investitori internazionali (ci sono) e un soggetto istituzionale che opererebbe sulla base dello Schema Volontario e, cioè, non ha l’obbligo di intervenire ma decide di farlo perché lo ritiene giusto e produttivo, una specie di Fondo di garanzia, e anche qui c’è un ruolo da chiarire e definire di Cdp. Il senso profondo di questa operazione Banca Popolare del Sud è dare soddisfazione a tutti gli stakeholder e dotare il sistema meridionale di uno strumento finanziario che conosce il suo territorio e è in grado di operare con le logiche e le dimensioni del player globale in modo da offrire servizi efficienti e competitivi.

F – Turismo, cultura, borghi e centri storici. Se si attua per davvero la regola Ciampi per la spesa in infrastrutture di sviluppo, si fanno un vero credito di imposta e le zone economiche speciali, si attribuisce a Bruxelles l’assegnazione dei contributi comunitari e si prosegue nel cammino interrotto di rinnovare la guida di sovrintendenze, musei e altro scegliendo il meglio in casa e fuori, allora la scommessa della cultura e del turismo, l’azienda più conosciuta nel mondo come marchio italiano, è vinta e il talento creativo da primato mondiale dei giovani del Sud avrà opportunità di impiego adeguate al talento e, forse, perfino la Rai riprenderà a investire nei suoi centri di produzione meridionali abbandonati in modo miope e poco rispettoso dei principi costituzionali e dei vincoli da canone pubblico. È un tema, crediamo noi, da magistratura contabile e amministrativa sulle quali insisteremo nelle opportune modalità e nelle opportune sedi.

Questi sono i sei punti di un Manifesto che studenti, operai, ricercatori, le forze sindacali, il ceto imprenditoriale e professionale, le élite e gli stakeholder tutti hanno il dovere e anche il diritto di sottoscrivere e promuovere. Noi ci crediamo e contiamo sulla mobilitazione contagiosa delle coscienze. Senza pretese arroganti o questuanti. Senza revanscismi. Questo Manifesto è per l’Italia. Una volta tanto, dal Sud al Nord.


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