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Domenico Arcuri

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Doveva trovare le mascherine e non le ha trovate. Doveva metterle in vendita al prezzo garantito e calmierato di mezzo euro l’una e invece ha dovuto prendere atto, per sua ignoranza di come funziona l’Iva, che tali oggetti costeranno non meno di sessantuno centesimi e cioè alla fine sarà un euro e non mezzo euro. Doveva far partire la miracolosa applicazione Immuni facendola coincidere alla fase due, e invece la fase due è partita allo sbando ma senza che ci sia l’applicazione. E, come se non bastasse, ha simulato una mutazione genetica del tutto illegittima del proprio ruolo: da manager di un ente che distribuisce a pioggia milioni statali, Domenico Arcuri si è trasformato in un guru sanitario, un veggente che impartisce come perle di saggezza le sue raccomandazioni sanitarie senza avere alcun titolo per farlo.

EPIC FAIL

Uno dei suoi momenti trionfali – quello della sua peggior figuraccia prima del flop delle mascherine – è stato all’inizio di maggio, quando ha elargito una sorta di omelia sull’eroismo del disciplinato popolo italiano, ma lo faceva proprio a conclusione di una giornata in cui i morti erano risaliti a 470 (come se negli Usa, fatte le proporzioni, fossero stati 3.000) e proprio mentre a Milano i giovani sciamavano sui navigli senza mascherina in gruppi abbracciandosi e baciandosi alla faccia di tutte le raccomandazioni benedicenti dei procacciatori d’affari e prebende diventati predicatori e premi Nobel per la Medicina.
I medici sul campo sono furiosi: ma chi cavolo si crede di essere questo? La domanda è presto tracimata dal campo medico a quello politico. Chi è, e a che titolo e con quali risultati, agisce questo signore che cento ne fa e una ne pensa?

Inoltre, si fa consistente il boatos secondo cui questo manager pubblico di successo potrebbe diventare il presidente di una rinata Iri, anche se forse si chiamerà diversamente, ricalcando le orme del progetto mussoliniano con cui nel 1933 il fascismo creò quell’ente per (parole di Mussolini) «ridare fiato all’industria italiana».

LA SPOCCHIA

Nato in Calabria, ma radicato a Foggia dove si è mosso nell’area che ha dati i natali all’attuale presidente del Consiglio, arrivato a sua volta del tutto a sorpresa a Palazzo Chigi, Domenico Arcuri resta un personaggio tanto noto quanto misterioso e a oggi del tutto dannoso. Certamente la sua carriera ha avuto una svolta quando il suo destino si è incrociato con quello dell’avvocato Giuseppe Conte che, in una inedita partita di scacchi politici all’italiana, si è trovato a salire per caso il famoso alto Colle da cui ha avuto un’investitura nata dai veti incrociati fra Matteo Salvini e Luigi Di Maio.

Essendo l’Italia un Paese capace di anticipare i tempi, si può dire che con il tipo di gestione alla maniera di Arcuri, siamo già all’Ancien Régime. Il presidente del Consiglio lo ha prelevato dall’impresa Invitalia e ne ha fatto il super commissario straordinario immaginario all’attuazione e – come se non bastasse – anche al «coordinamento delle misure occorrenti per il contenimento e il contrasto dell’emergenza epidemiologica Covid-19». Voi già vedete in questa crostata di parole inutili, le festose metastasi semantiche solo per dire che Arcuri avrebbe il dovere di assicurare quel che serve a fronteggiare l’epidemia.

Simpatico, gliene va dato atto, non lo è. Odiosetto e leggermente tendente alla spocchia, come sostengono in molti, forse. Ha di sicuro il piglio e la supponenza di chi è sicuro di trovarsi sempre un palmo sopra altri ed è stato così che ieri ha toppato di brutto. Ha infatti detto, ordinato, dichiarato e sottoscritto che da subito le mascherine si sarebbero trovate per tutti in ogni farmacia al prezzo uguale per tutti di mezzo euro, cosa che non può assolutamente accadere, perché né Arcuri né il governo hanno il magico potere di abolire l’Iva senza il permesso europeo.

QUALE MESTIERE?

Tutto prevedibile e previsto, se si sa fare un mestiere. Ma che mestiere sa fare questo grande manager di Stato che pensa a integrare pubblico e privato? Ormai è un problema. Non per i pochi o molti centesimi. Ma per la competenza. Ancora una volta il super commissario ha dato l’impressione, corroborata dalle conseguenze, di aprire bocca e darle fiato. Per uno che fa quel mestiere, e con quel titolo, l’unica conseguenza concepibile sarebbe di dimettersi. E se resistesse, qualcuno dovrebbe mostrargli la porta d’uscita.

Invece, come abbiamo detto, si fa consistente la voce di un incarico maggiore alla testa di un nuovo Iri, creatura amata e riproposta anche da Romano Prodi a costo di sembrare mussoliniano, con un articolo in cui ricorda e ripete la frase attribuita a Mussolini nel 1933: «Fate qualcosa per l’industria italiana». Ora il «fare qualcosa per l’industria italiana» potrebbe assumere un volto e un nome: quello di un manager che non ne ha azzeccata una.

LA APP? NON C’È

Anche la decantata applicazione “Immuni”, che funziona soltanto nel suo software e che fa sì che vengano caricati da fuori i dati che permettono di interagire con quelli di qualcuno che ha la stessa applicazione nutrita con gli stessi dati. Ma l’applicazione ha un piccolo problema. Non c’è. Non ci sarebbe tecnicamente neanche la fase due. Ma invece c’è, senza mascherine da mezzo euro e senza applicazione, ma la gente – non tutta ma comunque troppa – ha, specialmente in Lombardia, equivocato sull’ottimismo e se ne va a spasso come se tutto andasse bene, mentre l’ipotesi di un tragico flop si fa ogni giorno più realistica.

Arcuri avrebbe potuto, se avesse voluto, promuovere dei test di preminenza, a campione compatibile con le disponibilità facendo test di 1.000 o 1.500 persone per regione e avere la vera diffusione statistica del virus, su cui calibrare le future azioni. Non lo ha fatto e non lo ha chiesto. Sicché ancora oggi si seguitano a valutare, nel numero di contagiati, soltanto quelli che si presentano con sintomi agli ospedali, o poco più.

Se nella fase degli acquisti non ha portato alcun vero risultato – le mascherine insegnano – questo manager ha fatto progressi solo nell’area che gli dovrebbe essere preclusa per totale incompetenza: quella dei consigli di sanità ai medici. Come se fosse Antony Fauci o il Nobel Montagnier o un esperto delle scienze epidemiologiche. Quando tutti si cominciano a chiedere che cosa faccia e chi sia esattamente, come profilo di manager e a che cosa diavolo serva, ecco che riciccia come commissario per emergenza Covid attaccandosi con voluttà ai microfoni da cui emette con lessico incerto, a tasso di carisma prossimo allo zero.


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