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Antonio De Caro, sindaco di Bari e presidente dell'Anci

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«COSI’ non ne veniamo più fuori». Antonio Decaro scuote la testa, da sei anni guida la città di Bari, tra le più attive nel panorama del Mezzogiorno ma pur sempre con i suoi problemi di comunità del sud. Problemi amplificati dall’emergenza Covid-19. «I soldi a disposizione già non sono tanti – riprende – se poi l’accesso a questi fondi, penso ai 25mila euro per le piccole imprese o persino alla cassa integrazione in deroga, si trasforma in una corsa ad ostacoli allora non ci riprendiamo più».

Decaro è anche il sindaco dei sindaci, da ormai cinque anni è alla guida dell’Anci nazionale e non si tira indietro nemmeno quando c’è da bacchettare i governatori delle Regioni, tutti improvvisamente innamorati dell’autonomia, compresi i presidenti del Sud: «Anziché emettere le ordinanze più disparate in una fase delicata, come quella della ripresa, avrebbero fatto bene, a mio avviso, ad affidarsi alla cabina di regia nazionale».

“Ri-fate presto”, è il titolo-esortazione che da settimane il nostro giornale ripete. Ma i 25mila euro sono quasi tutti rimasti sulla carta, roba da “Chi l’ha visto”.

«Troppa burocrazia sta bloccando non solo sgravi e incentivi ma sta mettendo a rischio la sopravvivenza delle famiglie. Da ormai oltre un mese migliaia di persone attendono la cassa integrazione, questa certamente non è la ricetta per riprenderci. Già i soldi non sono tanti, se poi rendiamo pure difficile l’accesso non ne veniamo fuori. Se non fossimo intervenuti noi sindaci sarebbero aumentate le tensioni sociali che si sono già innescate. Abbiamo fatto i salti mortali per consegnare la spesa gratuitamente alle famiglie che non avevano più un euro sui loro conto correnti, abbiamo speso immediatamente i 400 milioni ricevuti dallo Stato e, per fortuna, le donazioni ci hanno aiutato a sopperire».

Servono prestiti a fondo perduto?

«Assolutamente sì e noi come Anci lo abbiamo chiesto. Io, ad esempio, nel mio piccolo nel mio Comune li darò alle piccole imprese che devono riavviare le loro attività e non ce la fanno».

Come?

«Utilizzando i fondi europei. Dobbiamo essere più elastici, snellire la burocrazia se non vogliamo lasciarli morire. Le piccole imprese rappresentano il tessuto economico e vitale della nostra società. E quando parlo di non soffocarli con la burocrazia non mi riferisco solamente all’accesso ai prestiti. Faccio un esempio: un locale per ottenere l’autorizzazione a mettere un tavolino fuori deve inoltrare almeno otto pratiche tra Comune, Soprintendenza, Asl. Siamo in una fase di emergenza e si devono dare risposte di emergenza: il governo dovrebbe eliminare le procedure della Soprintendenza per 6 mesi, non è che se mettiamo i tavolini davanti ai palazzi storici li stiamo abbattendo. Io ho deciso che a Bari aumenterò a ristoranti, bar, pizzerie, pub il suolo pubblico gratuitamente. Dobbiamo dare la possibilità a tutti di riaprire certamente in sicurezza, ma con il sostegno concreto».

Ad esempio?

«Abbiamo proposto al governo di darci dei fondi per evitare di far pagare ai commercianti e imprenditori le tasse almeno degli ultimi due mesi. I sindaci stanno svolgendo un ruolo di sentinelle, portiamo il grido di dolore dei piccoli imprenditori a Roma. Che sia chiaro, non bastano i 600 euro di bonus, non bastano a far sopravvivere una famiglia ma, ovviamente, non sono utili per mantenere in vita le imprese. Servono bonus per le attività, prestiti a fondo perduto. Altrimenti sarà difficile per molti negozi, locali e aziende riaprire. Per riprende, tra l’altro, dovranno fare ulteriori investimenti per la sicurezza: dovranno comprare mascherine, gel igienizzante, software, dovranno rivedere la loro organizzazione del lavoro».

Non è un caso che in molti stiano annunciando la chiusura definitiva.

«No, infatti, non è un caso e me lo sento dire anche io. Ecco perché bisogna essere più incisivi, ci sono molti modi. Bisogna aiutare i negozianti a pagare non solo le tasse, ma le bollette, l’affitto, i costi di sanificazione e le attrezzature».

Lei a cos’altro sta pensando?

«Ad esempio, al governo abbiamo proposto anche la cedolare secca sugli immobili. Il governo dovrebbe pensare anche a una liberalizzazione delle soglie sugli affidamenti diretti: potremmo fare piccole opere, fare lavorare le piccole aziende e fare un’iniezione di liquidità sul territorio».

Non crede che per il Sud questa possa essere persino una opportunità per ricucire il gap con politiche che finalmente vadano a riequilibrare la ripartizione dei fondi a livello nazionale?

«Il divario tra Nord e Sud, a mio avviso, purtroppo resta».

Il silenzio dei governatori del Sud appare però disarmante: si sta perdendo una occasione?

«Senza dubbio serve fare squadra, anziché litigare o battibeccare a distanza. Potremmo usare gli investimenti per rendere più attrattivi i nostri territori, ma la ripartenza deve essere di tutto il Paese, non parlerei di Nord o Sud. Serve unità di tutti, altrimenti non ce la facciamo. Nessuno deve restare indietro e nessuno deve essere lasciato indietro».

Ed invece i governatori litigano in tv o in radio, si lanciano frecciatine e vanno avanti con un ordinanze che sembrano trasformare l’Italia in uno Stato federale.

«Noi sindaci, e siamo 8mila, di fatto ci siamo fatti “sterilizzare” il potere di ordinanze dal governo centrale. Abbiamo volontariamente rinunciato, lo abbiamo fatto con coscienza e responsabilità perché non era il momento del protagonismo. Ci siamo fidati del governo al quale abbiamo ceduto il potere di ordinanza perché servivano linee nazionali decise da una cabina di regia. Pensate cosa sarebbe accaduto se ogni sindaco avesse agito di testa propria, e l’avrebbe potuto fare anche in maniera più incisiva rispetto ai governatori. Non voglio fare polemiche, però a mio avviso se le Regioni avessero rinunciato alla loro autonomia sarebbe stato meglio. I provvedimenti decisi nei decreti del presidente del Consiglio dei ministri vengono assunti sulla base di un algoritmo, un modello matematico, che tiene sotto controllo sia i dati del contagio sia i posti di terapia intensiva. Le decisioni delle Regioni, invece, su quale valutazione si poggiano? Il federalismo regionale si sta trasformando in protagonismo regionale”.


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