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Una corsia di ospedale

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“Speriamo che non arrivi al Sud, perché lì la sanità non è quella del Nord”. Questa l’affermazione più frequente che abbiamo sentito negli ultimi giorni. La logica vorrebbe che consci di tale aspetto si mettessero in atto tutte le misure di sicurezza perché il Covid 19 fosse, in tutti i modi, bloccato. Ed invece nulla. Forse inconsapevolmente ma certo colpevolmente, si è fatto proprio l’opposto perché il virus viaggiasse impunemente. Dalla regione lombarda che chiude scuole ed Università, senza concordare il provvedimento con il Governo centrale. Al ministro De Micheli che non interviene sui treni a lunga percorrenza, se non dopo aver fatto spostare, in carrozze affollate e senza alcuna misura di sicurezza, o in bus presi d’assalto ma anche in aerei, ottimi per contagiare, tutta la gente impazzita. E sono arrivate migliaia di persone, 50.000 si stima solo in Sicilia, 30.000 i registrati, 20.000 in Puglia, 10.000 i lombardi che si spostano in Sardegna, nelle loro ville estive.

I decreti di blocco del presidente del consiglio dei ministri annunciati la mattina e promulgati successivamente danno il tempo a tutti di aggirarli. Adesso arrivano i blocchi: insomma prima si spingono i buoi fuori dalla stalla e poi si chiudono le porte. Quando il danno è fatto. Ma al di là dello “speriamo che non arrivi al Sud” l’altra affermazione è stata “perché lì la sanità non è quella del Nord”. Concetto che rispecchia certamente la realtà. Ma quello che impressiona è l’accettazione supina da parte di tutti, anche dei meridionali, di tale affermazione. Una situazione che dovrebbe far gridare allo scandalo, che invece viene subita dal Paese come un fatto ineludibile, acquisito, come è acquisito che vi sono le maree e che i vulcani periodicamente eruttano lava. E nessuno grida che è il risultato di una politica che ha derubato, se qualche anima nobile non regge il termine, sottratto, ad ogni cittadino del Sud un importo annuale che gli era dovuto perché soggetto degli stessi doveri e diritti sanciti dalla Costituzione, quella definita la più bella del mondo, io direi anche, la meno applicata.

Due regioni simbolo la Lombardia e la Campania, 206 euro in meno ad ogni campano per la sanità rispetto ad un lombardo, dati della Corte dei Conti (rapporto 2019 sul coordinamento della finanza pubblica). E poiché i campani sono 5,827 milioni l’importo in meno che hanno avuto è di oltre un miliardo solo nel 2019. Mentre i lombardi che sono circa 10 milioni complessivamente hanno avuto due miliardi in più, sempre nello stesso anno, di quello che sarebbe toccato loro se il napoletano avesse avuto lo stesso diritto alla salute del milanese. E per questo non ci si straccia le vesti, l’opinione pubblica nazionale, ma anche quella meridionale, non chiede il conto alle forze politiche che si sono succedute; niente di tutto questo; si abbozza un’alzata di spalle e si commenta ”speriamo che il virus non arrivi al Sud, perché lo sappiamo che lì la sanità non riuscirebbe a sostenere l’impatto”. Scandaloso che questo possa essere avvenuto, tragico che pochi si stupiscano ed accettino tale misfatto come naturale. Un Sud che viene penalizzato non solo perché gli investimenti nel settore non sono stati fatti, ma anche perché, cornuti e mazziati come direbbero i napoletani, paga anche, ogni anno, risorse importanti per i cosiddetti viaggi della speranza, come ci ricorda Svimez. Questo per quanto riguarda il passato. Per la gestione dell’emergenza il timore che i rapporti di forza rimangano gli stessi è grande.

Di fronte all’assessore alla sanità della regione lombarda, Giulio Gallera, che mostra le mascherine che il Governo ha inviato, probabilmente per usi certamente non da ospedale ma da esterno, dicendo che sono meno resistenti di una buona carta igienica, con il solito stile di chi sa di essere forte, non ci sono commenti. Per un Governo centrale, certamente in difficoltà e chi non lo sarebbe di fronte ad una emergenza di tal genere e con i partiti che lo sostengono nel Paese, dai sondaggi, che non hanno il consenso della maggior parte della popolazione, sarà inevitabile fare i conti, con chi si permette di dire che “forse a Roma non si rendono conto”, frase arrogante oltre che ingiuriosa. Nessuna autocritica del fatto che malgrado le grandi risorse a disposizione la sanità lombarda ha dimostrato tutta la sua debolezza, soprattutto all’inizio del contagio. Solo richieste, anche se in un momento come questo anche legittime, visto il dramma che sta vivendo Bergamo e tutto la inventata padania, ma dimenticando che il Paese è grande e che siamo 60 milioni e che 21 milioni sono in una area dove la sanità ed i posti disponibili sono assolutamente limitati.

L’approccio complessivo ripete lo schema delle due Italie: in una si hanno diritti diversi che nell’altra. Anche il diritto alla sopravvivenza è diverso, prima perché la speranza di vita era maggiore ed ora purtroppo, al di là dei gridi di dolore inascoltati, di De Luca, Musumeci ed Emiliano, per parlare solo delle regioni che insieme hanno oltre il 70 % della popolazione meridionale, perché non è difficile prevedere che non saremo uguali nemmeno di fronte alla pandemia. Dopo aver buttato fuori un po’ di meridionali che potevano pesare sulla sanità lombardoveneta con provvedimenti a dir poco superficiali o con l’ordine espresso da parte del presidente della provincia di Bolzano, Kompatscher, speriamo che il Paese si unisca con una unica forza ad affrontare il dramma che stiamo vivendo e che non sarà molto limitato nel tempo.


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