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QUELLO che raccontiamo oggi è un caso da manuale di autodistruzione. Un Paese che decide a tavolino di farsi fuori da solo. Per lungo tempo inconsapevolmente, da un po’ consapevolmente. Non è più un mistero per nessuno che, con il trapano della Spesa Storica, lo Stato allargato estrae dal bilancio pubblico nazionale 60 e passa miliardi l’anno dovuti al Sud per spesa sociale e infrastrutture di sviluppo e li regala tutti di un colpo al Nord per finanziare ogni genere di assistenzialismo, se non indirettamente perfino attività della criminalità organizzata.

La Regione Piemonte per i suoi servizi generali spende cinque volte di più della Regione Campania e ha un milione e mezzo di abitanti in meno. Addirittura, da sola, spende molto di più di quanto spendono tutte insieme Campania, Puglia e Calabria. Taciamo, per carità di patria, sugli scandali di Piemonte e Valle d’Aosta che aprono uno squarcio sugli abissi a cui ci conduce tanta dissennatezza nell’impiego della spesa pubblica.

Si sono ottenuti due risultati “straordinari”. Primo. Si è inferto un colpo mortale alla grande impresa privata del Nord e si sono educati strati sempre più larghi dell’economia settentrionale alla cultura della rendita. Secondo. Si è privato il Mezzogiorno di treni veloci, reti immateriali e si è fortemente ridimensionata la spesa sociale. Risultato: il Nord è diventato l’appendice meridionale del gigante tedesco afflitto da fragilità senile, produce macchine di qualità e offre soluzioni a economie molto più forti di noi che si prendono la tecnologia e ci regalano una quota minima (volatile) dei loro mercati; il Mezzogiorno, abolito per ogni genere di investimento pubblico e isolato geograficamente, conosce la più forte caduta del suo reddito pro capite ormai pari al 50% di quello del Nord e priva, di fatto, il sistema produttivo settentrionale del suo principale mercato di “esportazione” che sono i consumi di venti milioni di persone. Siamo al capolavoro dei capolavori.

Nord e Sud dell’Italia sono i due unici territori europei che non hanno raggiunto i livelli pre-crisi del 2008. Siamo il Paese che cresce meno in Europa, anche meno della Grecia, e non abbiamo nessuna possibilità di ripartire se non recuperiamo in fretta uno straccio di dimensione nazionale infrastrutturale e industriale. Invece, sottraiamo al Sud non solo spesa sociale e investimenti produttivi (riceve lo 0,15% del Pil, nulla!) ma addirittura quote rilevantissime dei fondi di coesione e di cofinanziamento dei contributi comunitari per fare fronte a misure di stabilizzazione finanziaria e alle mille emergenze del Nord. Riempiamo di grasso la testa e la pancia del Paese offuscandone l’intelligenza mentre alle gambe non arriva più niente, né vitamine né grasso.

Un Paese così non sta in piedi, barcolla. Prima o poi cade. Chi ci governa è pregato di non distrarsi con la politica estera e di non ripetere le solite favolette sull’Irpef.

L’unico pensiero fisso che deve avere è quello di aprire i cantieri e fare ripartire gli investimenti. Soprattutto, non deve sbagliare indirizzo.


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