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Il premier Giuseppe Conte

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di ANGELA RIZZICA

Caro Presidente, Le scrivo una lettera aperta in risposta alla Sua lettera aperta. Insomma, una lettera aperta al quadrato. Sarò onesta con Lei: quando, aprendo Facebook e scorrendo la Home, ho trovato il Suo post, non ho potuto fare a meno di storcere il naso. Sì perché non ho mai tollerato più di tanto, né in realtà compreso, come si potessero fare delle comunicazioni istituzionali a mezzo Social.

A dirla tutta, ho sempre pensato che i rappresentati delle istituzioni non dovessero neanche avere dei profili Facebook od Instagram (appartengo alla corrente Moro secondo cui in spiaggia ci si va in giacca e cravatta, quando si rappresenta lo Stato). Eppure, devo arrendermi all’idea che questi strumenti siano ormai definitivamente entrati a far parte della vita quotidiana di ognuno di noi ed essendo la politica “cosa umana” per eccellenza, detti strumenti devono fare da ancella anche a questa attività. Le dirò pure che non sono mai stata una Sua aperta sostenitrice, anzi, in verità, ho ricondiviso tantissimi meme su di Lei (mi comprenda, facevano davvero ridere).

Ho sempre interpretato il Suo silenzio ed il Suo (almeno apparente) immobilismo come il chiaro segno di una latente disaffezione nei confronti della politica italiana. Ho creduto che, il Suo atteggiamento, fosse dettato dal fatto di essere stato obtorto collo costretto ad assumere delle vesti, quali quelle di Presidente del Consiglio, che parevano starLe decisamente troppo strette. La immaginavo nelle aule sì, ma universitarie e di tribunale a trasmettere l’amore per il diritto nell’un caso ed a battagliare per il diritto nell’altro. Eppure, Presidente, mi ha stupita. Avevo decisamente sottovalutato proprio l’elemento che più di tutti gli altri La contraddistingue: Lei è un giurista. Come tale, non ha bisogno di slogan o di promesse per attirare l’attenzione.

Ha la forza dei Suoi studi e della Sua carriera alle spalle (che continuo a pensare siano, ancora oggi, non dico una condicio sine qua non ma certamente un biglietto da visita dei più affidabili quando si è chiamati a ricoprire determinate cariche). Le è bastato un post su Facebook, come tanti fatti dal buon Matteo, per -mi permetta il termine- smascherare il qualunquismo che Salvini ha dimostrato di avere nella gestione dell’emergenza migranti (e non solo). Ha analiticamente messo in evidenza, come solo un giurista sa fare, le incongruenze che il nuovo Matteo nazionale ha posto in essere ed anche come il ridetto atteggiamento stia in effetti risultando controproducente. Ha detto bene Lei: è una partita, questa, che deve essere giocata in Europa ed in Europa non ci si siede sguaiati e scomposti come, a quanto pare, si riesce a fare in Italia ma con progetti, programmi e dati alla mano.

E’ evidente (a chi non si lascia abbagliare da tanti sproloqui buttati a caso) che si debba ripartire proprio dal Regolamento di Dublino. Ed il perché è presto detto: la posizione dell’italico stivale faceva gola già millenni or sono proprio per il suo essere incastonato strategicamente al centro del Mediterraneo. Una propaggine che, se conquistata dal mare, permetteva sicuro accesso alla terra ferma ed al Continente. Ora, è la mano protesa del civile Occidente verso il Medio Oriente e verso l’Africa. Il primo porto riconosciuto come sicuro che i clandestini incontrano dopo la traversata. Ed in effetti fa ridere come lo slogan “porti chiusi” salviniano venga fatto (malamente) passare come un tentativo di indebolire e minare la potenza economica degli scafisti e delle ONG. Come se la disperazione di quelle persone potesse subire una battuta d’arresto davanti alla prospettiva di non riuscire a raggiungere la destinazione.

Sfugge una cosa essenziale: non solo molti di loro muoiono in mare ben prima dello sbarco; non solo molti di loro arrivano così deperiti e malati che muoiono poche ore dopo le operazioni di recupero; non solo molti di loro vendono gli organi sottobanco per poter pagare il tragitto; non solo molti e molte di loro subiscono nella traversata abusi di ogni tipo tali da renderli e renderle morti dentro; tutti loro sanno che, se rimarranno nei loro Paesi di origine, moriranno comunque. Come se, noi per primi, noi italiani “purosangue” (e chi sostiene che un italiano possa in effetti essere purosangue dovrebbe mettersi in punizione dietro la lavagna con le orecchie da asino ed aprire un qualunque libro di storia, tanto per tornare al fatto che studiare non fa la differenza) non avessimo, in un passato affatto remoto, cercato la fortuna altrove, anche oltreoceano. Ellis Island, “L’isola delle lacrime”, ne è prova tangibile e di lacrime italiane lì, tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, ne furono versate a profusione. Impedire lo sbarco, oltre ad essere impossibile, non significa indebolire chi con la tratta di esseri umani si sta arricchendo, quanto, semplicemente, uccidere delle persone.

Per ostacolare i trafficanti si deve intervenire all’origine, intavolando trattative con i Paesi da cui i migranti stessi partono, nel tentativo di regolamentare, per quanto possibile, i flussi. Decisamente arduo, molto arduo. Cosa certamente meno ardua, è rinegoziare i trattati in Europa (partendo, appunto, dal Regolamento di Dublino) e ridefinire le procedure, le tempistiche nonché le modalità di smistamento dei migranti tra i vari Paesi membri. Cosa che, comunque, il buon Matteo non ha minimamente fatto, preferendo all’europarlamento le ospitate dalla D’Urso.

La Sua lettera, Presidente, ha anche avuto il pregio di mostrare come non risponda al vero l’assoluta chiusura europea all’accoglienza dei migranti tanto millantata da Salvini per giustificare i beceri atti di forza di cui si è reso artefice (ma il Suo “strappi istituzionali” suona decisamente meglio). Con il Suo post, ha mostrato con chiarezza e con immediatezza come la politica sull’immigrazione di Salvini non risponda ad alcuna logica, nemmeno istituzionale, ma che miri unicamente a raccogliere il consenso del copioso reflusso razzista che attanaglia il Paese. Un deplorevole braccio di ferro politico che vede sacrificate vite umane con la promessa di rendere l’Italia più pulita e meno criminale. Presumo quindi che, stando così le cose, i clan mafiosi, quelli della camorra o della ’ndrangheta siano attualmente composti da eritrei, libici e nigeriani, ma questa è un’altra storia.

In definitiva, Presidente, da giurista (con la g minuscola, quale sono) a Giurista (con la G maiuscola, quale è Lei), Le debbo le mie scuse: La consideravo, a torto, l’ennesimo burattino della infinita pièce teatrale quale è diventata la politica italiana. Probabilmente, il fatto che le idee ormai debbano essere urlate a scapito dell’agire, ha piano piano fatto presa (mio malgrado) anche su di me. La ringrazio per avermi ricordato che non ho mai partecipato ad un Vaffaday e che ho sempre preferito i fatti alle parole. A fatti c’eravamo pure prima ma, Presidente, anche in quanto a parole non scherza mica.


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