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Pino Aprile

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di PINO APRILE*

SARA’ il telefonino a sconfiggere la ‘ndrangheta. Quella calabrese è, al tempo stesso, la mafia più arcaica e più cosmopolita. Mentre per le altre “famiglia” è sinonimo di “cosca”, per quella calabrese “cosca” è sinonimo di “famiglia”, nel senso che se non sei consanguineo, difficilmente ne fai parte. E ogni famiglia-cosca agisce come un antico potentato: le alleanze si cementano con la parentela, le donne usate per scambiarle in matrimoni e cementare alleanze con i figli “misti”, in una “endogamia mafiosa” che escluda gli estranei e faccia circolare il sangue di ‘ndrangheta solo fra chi ne condivide la cultura (che tale è, pur se criminale, avendone le caratteristiche: un gergo, un codice, una “morale”, una gerarchia, un fine comune nell’arricchimento a qualsiasi costo).

Nella ’ndrangheta, le donne sono cose, non contano niente; o contano, solo quali sostitute più o meno temporanee dell’uomo di riferimento, cui “appartengono” (padre o marito). Il che può suonare contraddittorio, perché la ‘ndrangheta, come (e persino più) di ogni mafia, è comunità su un codice matriarcale. In che senso? La biologia assegna alla donna il compito di cercare ogni eccezione a vantaggio dei propri figli, pur se a danno dell’intera comunità. È lo stesso comandamento della mafia. L’uomo, al contrario della donna, non ha certezza (sì, l’analisi del Dna, ma è roba di oggi) che i figli siano suoi. Per affermare la sua paternità, ha bisogno che la comunità riconosca come suoi i figli che lui dice suoi (“E Giuseppe presentò Gesù al Tempio…”). Quindi, per essere padre, deve stringere un patto con gli altri, fissare regole condivise e pretenderne il rispetto. Ovvero, far nascere una civiltà. Magari criminale (la maternità è biologica; la paternità culturale), perché sulla pretesa dell’eccezione a danno di tutti gli altri (madre), nasce un sistema di potere (padre).

Le donne sono la carne e il sangue attraverso cui quel potere maschile si mantiene. Padri e mariti decidono per loro. Finché la loro vita scorre all’interno di quella cultura-comunità, gli altri sono visti come la parte sbagliata e perdente. Insomma, vuoi mettere essere la figlia del boss dinanzi a cui tutti si inchinano, e non la sfigata che deve averne paura? Ma il telefonino… Donne “promesse” a uno sconosciuto che erano ancor bambine e rese madri che erano poco più grandi scoprono (i social, facebook, eccetera) che le altre vengono corteggiate, scelgono chi amare, con chi fare figli. E se si accorgono di aver sbagliato, magari cambiano la loro vita e ricominciano, sperando in maggior fortuna. Progettano dove andare in vacanza, con chi, e se papà non vuole, se ne faccia una ragione. Confrontano quella libertà con il loro destino: non hanno mai deciso nulla; vivono in famiglie quasi sempre solo al femminile, perché molte sono presto orfane e vedove (vere o “bianche”, perché lui è all’ergastolo) o madri di figli che, come padri e nonni, se non vengono uccisi, devono uccidere, finché non vanno in carcere.

Non tutti, certo; i più. Alcuni sono “liberi” in budelli sotterranei, come i topi. Non vai a passeggio con tuo marito latitante; far nuove amicizie può essere un’offesa mortale alla famiglia. Ti chiedi: vuoi questa la vita per i tuoi figli, le figlie? E la figlia del boss dei Pesce passa “dall’altra parte”, perché tuo figlio vuol fare il carabiniere. O, chatta chatta, ti innamori: ami, hai scelto tu chi, a costo di morire. E “ti suicidano”, per il sogno, durato poco, di avere un cuore libero. Ma non potranno ucciderle tutte. Con il telefonino vai oltre la “famiglia-cosca” e le sue regole. Cominci a confrontare… e se le madri liberano i loro figli, il futuro della ‘ndrangheta è a rischio.

*giornalista e scrittore

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