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Il baciamano al boss Giorgi

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di ENZO CICONTE*

LA Calabria di nuovo al centro dell’attenzione mediatica per il baciamano di San Luca ad un uomo potente della ‘ndrangheta appena arrestato a casa sua dai carabinieri dopo un lungo periodo di latitanza, 23 anni per l’esattezza, un tempo enorme che solo i grandi capi possono permettersi di trascorrere senza essere arrestati.

Era successa la stessa cosa dopo la scoperta che le statue dei santi durante le processioni religiose avevano l’abitudine d’inchinarsi davanti alle abitazioni dei mafiosi, non di tutti ma solo dei capi riconosciuti, venerati, rispettati, temuti; insomma, quelli che sono degni d’un inchino del santo o della madonna di turno. In questi episodi emergono una simbologia antica e una ritualità che proviene da tempi lontani e che indicano i segni evidenti di una subalternità, di una deferenza, di un’evidente difficoltà a vivere con la schiena dritta. L’attenzione cade inevitabilmente sui riti che sono una cosa terribilmente seria, che hanno la capacità d’attraversare il tempo e anche lo spazio perché si sbaglierebbe a pensare che queste manifestazioni appartengono ad una Calabria arretrata e ripiegata su se stessa, perché oramai sono germogliate anche al Nord.

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Il baciamano mostra deferenza, sottomissione, ma anche fascinazione, consenso. È una Calabria orribile quella che emerge, la parte peggiore di quella terra che pure non produce solo ‘ndranghetisti, ma che fa fatica a farlo comprendere al resto d’Italia che conosce il mare e le splendide montagne: Aspromonte, Serre, Sila, Pollino e che apprezza il peperoncino, la ‘nduja, la cipolla rossa, il bergamotto, la liquirizia Amarelli, ma che poco o niente sa, tante per fare degli esempi, delle esperienze culturali che stanno emergendo nelle università calabresi che non vivono in una landa deserta, a cominciare dalla storica Unical, e nelle belle case editrici, a partire dalla Rubbettino che pubblica anche i miei libri, che stampano in Calabria e che stanno acquisendo quote di mercato e spazi culturali al di fuori della regione. Si sbaglierebbe, però, a pensare che la fascinazione del mafioso sia una caratteristica dei calabresi, quasi una componente del suo dna. Non è così.

LA NARRAZIONE E GLI INTERESSI DELL’ANTIMAFIA SALOTTIERA

A Bologna una consulente finanziaria si disse onorata per il fatto che uno ‘ndranghetista di peso fosse andata a trovarla nel suo studio in centro città. Era attratta e affascinata, questa signora, come lo era un giornalista di una televisione di Reggio Emilia nei confronti di altri mafiosi che operavano in città. Si sbaglierebbe a dare della ‘ndrangheta una visione d’una mafia arcaica, legata in modo ancestrale ai suoi miti, ai suoi riti e alle sue affiliazioni dalle simbologie affascinanti per tanti malandrini. Questo è solo un aspetto, quello che di più attira i giornalisti a caccia di colore e di notizie ad effetto.

L’ACCORDO STATO-MAFIA E L’ITALIA

La ‘ndrangheta, lo sappiamo, è anche altro, molto altro, come ci mostrano le cronache quotidiane della Calabria e di alcune regioni del nord. Ma descrivere gli investimenti economici, i sofisticati meccanismi di riciclaggio, le acquisizioni commerciali, l’acquisto di bar e ristoranti e negozi di lusso e farmacie e pizzerie nei centri storici non ha la stessa attrattiva di un baciamano ripetuto in modo ossessivo in televisione.

LA “SOTTOMISSIONE 3.0”

Ci vuole il coinvolgimento d’un uomo politico per richiamare di nuovo l’attenzione. Ma dobbiamo sempre tenere a mente queste altre componenti che appaiono per un momento sui mass media per scomparire frettolosamente, se vogliamo comprendere fino in fondo la forza e la potenza che ancora oggi ha la ‘ndrangheta nonostante arresti e condanne, sequestri e confische dei beni avvenute negli ultimi dieci anni, o poco più, da parte della magistratura e delle forze dell’ordine. Dobbiamo imparare ad ascoltare e a raccontare il silenzio del Nord, il tentativo che anche lì si fa di occultare la presenza mafiosa perché non si disturbino gli affari, o per pudore, per vergogna, per timore che parlandone s’infanghino quelle realtà ricche ed opulente. Dobbiamo anche cercare di capire cosa sta succedendo a San Luca e negli immediati dintorni.

In quel comune non s’è votato neanche quest’anno perché i cittadini hanno deciso di non presentare le liste in aperta polemica con la legge sullo scioglimento dei comuni per condizionamento mafioso e per richiamare l’attenzione della politica e delle istituzioni. Una scelta, dunque, non un caso; che va compresa nella sua essenza di protesta, e alla quale va data una risposta che finora è mancata. E che è urgente dare ragionando sulle modifiche da apportare alla legge sullo scioglimento dei comuni.

La ‘ndrangheta è cambiata anche su un altro punto essenziale: continua ad essere invisibile – al Nord l’hanno definita mafia silente – e nello stesso tempo visibilissima come ci hanno detto le scritte di Locri vergate da mano mafiosa per “salutare” Libera e don Ciotti. Ma c’è dell’altro, ancora di più nuovo: l’uso dei social network, di Fb da parte di giovani esponenti delle ‘ndrine, di loro parenti ed amici. Dobbiamo abituarci perché anche questa è una nuova frontiera che bisogna presidiare.

*scrittore e docente

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