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Il professor Costabile con gli studenti all’interno delle Vele di Scampia

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di GIANCARLO COSTABILE

«CIASCUNO cresce solo se sognato», racconta Danilo Dolci in una splendida poesia che è stata trascritta in un murales lungo la strada che porta all’ingresso della Vela Verde di Scampia. Destinata in tempi brevi, come le altre, ad essere abbattuta, rompendo in tal modo, e soprattutto definitivamente, l’iconografia del quartiere simbolo del degrado meridionale. Scampia, oramai (e per fortuna), va oltre le narrazioni commerciali che hanno interesse a mantenere una immagine del tutto stereotipata di questa porzione del territorio partenopeo.

La periferia Nord di Napoli non è più, e da tempo, la Gomorra delle fiction, ma piuttosto il motore di un riscatto civile che sta contaminando molte aree del Mezzogiorno d’Italia. Il sesto Forum della Rete delle R-Esistenze Meridionali ha avviato il primo campus dell’antimafia sociale del Paese: l’obiettivo è di rendere permanente uno spazio di formazione delle coscienze ispirato ai modelli delle pedagogie radicali di Danilo Dolci, Paulo Freire e Don Lorenzo Milani.

Fare antimafia oggi, nella società delle oligarchie finanziarie che riciclano il denaro sporco delle mafie, significa andare oltre gli sterili ed ipocriti confini dell’educazione alla legalità, intesa come mera conformazione allo status quo. Il turbocapitalismo nelle sue dinamiche di spoliazione della dignità umana ha legittimato un ordine di potere sociale fondato esplicitamente sulle disuguaglianze e l’impoverimento delle masse popolari. L’azione legale disgiunta da una messa in discussione delle piramidi sociali rischia di essere uno strumento di sorveglianza e punizione delle povertà, secondo uno schema caro al filosofo francese Michel Foucault.

I lavori laboratoriali del campus di Scampia hanno affrontato questi nodi concettuali, approdando ad una visione di contrasto alla cultura mafiosa che muove prioritariamente dalla definizione di una teoria sociale del cambiamento dal basso in grado di farsi, compiutamente, pedagogia dei diritti sociali. Una pedagogia dell’antimafia non può essere demandata a chi detiene il potere repressivo dello Stato: è piuttosto compito della cultura quello di produrre una prassi di coscientizzazione che recida le radici della sofferenza sociale e della miseria, incubatrici dei fenomeni tipici della sfera della devianza e della violenza, anche di matrice mafiosa.

La sfida pedagogica che R-Esistenza anticamorra e Pedagogia della R-Esistenza lanciano va nella direzione di realizzare un modello meridionale e meridionalista di economia solidale e reti di cittadinanza attiva, capaci di premere dal basso sulle comunità locali in modo da condizionarne le politiche di governo in materia di beni comuni, diritto all’abitazione, riqualificazione degli spazi urbani e sociali, tutela dell’ambiente e valorizzazione dell’identità culturale dei territori. Sconfiggere la pedagogia del lamento e della rassegnazione è tra le finalità condivise di questo laboratorio di inclusione sociale che lega Scampia al progetto R-Esistenza dell’Università della Calabria.

Il Meridione deve uscire dallo schema ideologico della lamentazione per ri-costruirsi come soggetto dinamico di un modo nuovo di guardare al Mediterraneo, crocevia di popoli e culture eterogenee. La grammatica dell’accoglienza deve mettere in liquidazione l’alchimia della paura verso il diverso e l’odio nei confronti di tutto ciò che non è conforme al linguaggio di potere dell’Occidente. Le R-Esistenze Meridionali si pongono come spazio ideologico plurale di tutti i Sud dell’area mediterranea in lotta per la loro libera esistenza: dalla Palestina al Kurdistan, dalla Siria ai Paesi africani dilaniati dalle guerre. L’Officina delle Culture Gelsomina Verde e il Fondo Rustico Amato Lamberti sono vettori di trasformazioni sociali profonde: non-luoghi che diventano luoghi di r-esistenza e innovazione sociale.

Il sisma pedagogico che Ciro Corona sta producendo, è uno spartiacque nella storia delle relazioni di potere tra centro e periferia del Paese. Scampia dimostra che paradossalmente non esistono periferie, ma menti periferiche che scelgono di adattarsi, di convivere con e nella marginalità, che assumono come linguaggio dell’esistenza il mutismo e la viltà. Di contro, è possibile scrivere un’altra narrazione delle periferie che diventano centro (o meglio epicentro) di un disegno organico di società altra (e alta) rispetto a quella del presente. A cinquant’anni dalla Rivoluzione sessantottina vale ancora la pena osare e parlare apertamente di fantasia al potere: non è più tempo di obbedire alla semantica dell’ovvio che impone di pensarsi a Sud di Roma come ‘esseri di meno’, minorati della vita, umanoidi di terza serie che trovano dignità e riconoscimento di diritti soltanto nell’emigrazione, oltre i confini di quello che un tempo si chiamava Regno delle Due Sicilie.

Il campus dell’antimafia sociale vuole destrutturare questo approccio pedagogico tipico della mimesi coloniale per cui gli oppressi finiscono per introiettare i codici della colpa e della dipendenza piscologica dagli oppressori. La prassi liberatrice necessita di un’azione pedagogica in grado di produrre una rinnovata acquisizione identitaria: lo sforzo ermeneutico è quello di pensare se stessi come esseri in divenire e in permanente cambiamento. La costruzione di una pedagogia dell’antimafia all’interno della cornice più ampia di una filosofia educativa dell’uguaglianza sociale, è una prospettiva teorico-pratica capace di mettere in crisi l’ossatura dell’antimafia borghese e salottiera, l’altra faccia del potere mafioso. Entrambe servono a stabilizzare il sistema capitalistico, imprigionandolo in una finta dialettica emancipatrice destinata a produrre soltanto retorica e illusioni. Nonostante tutto, la partita del riscatto meridionale è ampiamente alla portata delle popolazioni che vivono a Sud di Roma.

La pedagogia dello struzzo e dell’indifferenza, una delle conseguenze ideologico-sociali di certa pedagogia accademica, è un avversario temibile ma anche battibile. L’esperienza di Scampia e lo sforzo di mettere in rete tante storie di r-esistenza dimostrano che le società hanno ancora margini significativi per riorganizzare i rapporti di potere sociale. E’ finita la stagione degli alibi. Per tutti. Questa è l’ora della disobbedienza e della lotta. E perché no: forse è arrivato il momento di riprendere familiarità con la grammatica della Rivoluzione sociale.

Del resto, può essere anche eretico parlare di inferno dei giusti e di paradiso dei corrotti. Purtuttavia è affascinante. Maledettamente. Ragion per cui, si liquidi la paura e si abbia il coraggio di cambiare. Non è mica detto che all’inferno poi si stia così male.

*Unical

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