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A 200 anni dalla morte, Legnago celebra Antonio Salieri con il Requiem in Do minore: appuntamento il 7 maggio al Duomo di San Martino Vescovo. Tutti i dettagli nell’intervista al direttore d’orchestra Giancarlo Rizzi.


LEGNAGO – Due secoli fa, il 7 maggio 1825, si spegneva a Vienna Antonio Salieri, maestro di corte, guida di geni immortali, e compositore tra i più raffinati della sua epoca. Domani sera, 7 maggio 2025, la sua musica tornerà a vivere, non in una sala imperiale né nei teatri della capitale asburgica, ma nella sua città natale, Legnago. Una terra che si riappropria del suo figlio più illustre, proclamandone la grandezza con una delle opere più toccanti del suo repertorio sacro: il Requiem in Do minore.

Alle 20.45 le porte del Duomo di San Martino Vescovo si apriranno su un evento destinato a imprimersi nella memoria collettiva, un rito laico e spirituale al tempo stesso, che unisce solennità, bellezza e verità musicale. L’ingresso sarà libero, ma il significato della serata è inestimabile. L’evento segna l’apice delle celebrazioni per il bicentenario della morte di Salieri, nell’ambito del progetto “Salieri 200”, una coproduzione d’eccellenza tra la Fondazione Culturale Antonio Salieri e la Fondazione Teatro Coccia di Novara.

Alla guida dell’Orchestra Filarmonica Italiana e del Coro Iris Ensemble ci sarà il maestro Giancarlo Rizzi, direttore di straordinaria sensibilità, che guiderà l’esecuzione con rispetto filologico e ardore interpretativo. La preparazione del coro è affidata a Marina Malavasi, mentre il cast vocale internazionale include il soprano Maria Mudryak, il contralto Arlene Miatto Albeldas, il tenore Gianluca Moro e il basso Alberto Comes.

Il Requiem di Salieri, composto nel 1804, è una pagina di rara potenza espressiva. Tra silenzi sospesi e slanci orchestrali si avverte il respiro di un uomo consapevole della caducità della vita, ma fiero della propria arte. L’uso del corno inglese, strumento inusuale nel repertorio sacro dell’epoca, regala un colore malinconico e struggente, capace di toccare corde dell’anima spesso inesplorate.

Ma chi era davvero Antonio Salieri? Per troppo tempo, il noto autore è stato prigioniero di una narrazione romantica e falsata, quella della rivalità con Mozart, alimentata dal teatro e dal cinema. Ma la realtà è un’altra: Salieri fu una delle figure più influenti del suo tempo. Maestro imperiale a Vienna, stimato da Haydn, mentore di Beethoven, Schubert e Liszt, compositore di opere e pagine sacre dal respiro monumentale, un innovatore capace di unire la solennità barocca all’espressività classica.

Salieri era un uomo di fede, fermamente convinto della realtà dell’aldilà e del giudizio finale. La sua visione spirituale non era solo un aspetto della sua vita privata, ma permeava in modo significativo la sua musica. La forza di queste convinzioni traspare chiaramente nelle sue composizioni, non si può ignorare, non si può sorvolare: va affrontata con rispetto e consapevolezza. Salieri ha lasciato un’eredità che oggi, lentamente, la critica e il pubblico stanno imparando a riconoscere e ad apprezzare.

Il viaggio del Requiem non si fermerà a Legnago. Il giorno successivo, l’8 maggio, il capolavoro di Salieri sarà riproposto al Teatro Coccia di Novara, in un ideale passaggio di testimone che estende l’abbraccio al celebre compositore oltre i confini della sua terra, proiettandolo in una dimensione nazionale, universale. Per una sera, il tempo si fermerà. Le note di Salieri parleranno non solo di morte, ma di rinascita. Saranno un inno alla memoria, ma anche al futuro della musica. Per conoscere più a fondo questo grande compositore e il suo Requiem, alla vigilia del concerto, abbiamo intervistato il maestro Giancarlo Rizzi.

Maestro Rizzi, dirigere il Requiem di Salieri nel bicentenario della sua morte, proprio nella città natale del compositore, è un’esperienza carica di significato. Come si è preparato a vivere questo momento?

«Il Requiem di Salieri è un’opera pressoché sconosciuta al grande pubblico. Anche chi conosce il compositore, spesso ne ignora l’esistenza, e le esecuzioni sono rarissime. È stato necessario partire da zero. Il primo passo è stato studiare a fondo la partitura e raccogliere tutto il materiale disponibile. Esistono pochissime registrazioni, e quelle disponibili spesso si allontanano molto dal testo originale, non rendendo giustizia alla scrittura di Salieri».

Per lungo tempo, Salieri è stato vittima di un mito – quello del presunto “assassino di Mozart” – che ha oscurato la sua reale grandezza. Crede che eventi come questo concerto possano contribuire a restituirgli il posto che merita nella storia della musica?

«Assolutamente sì. Questo concerto rientra nel progetto del Festival Salieri, promosso dal Teatro Salieri di Legnago, che da anni lavora con impegno per riportare alla luce la figura di questo grande compositore. Già durante la pandemia abbiamo fatto molto per farlo conoscere ai suoi concittadini, con iniziative fuori dal teatro: concerti, spettacoli, eventi informali, persino una corsa non competitiva di 10 km – la “Salieri Run” – con partenza e arrivo al teatro. Questa volta, però, ci muoviamo su un piano diverso: l’obiettivo è far scoprire – o riscoprire – la sua musica a livello nazionale e internazionale. Nonostante la “leggenda nera”, Salieri è un autore che meriterebbe un posto stabile tra i grandi. Forse non al livello di Mozart o Beethoven, ma certamente accanto a molti altri che vengono eseguiti molto più spesso».

Dopo anni di oblio o fraintendimenti, Salieri oggi viene finalmente rivalutato. Cosa ha impedito, secondo lei, che il suo valore venisse riconosciuto prima?

«C’è una battuta che circola spesso: Salieri non ha ucciso Mozart, ma Puškin ha ucciso Salieri. È vero. La tragedia di Puškin prima, e poi il film Amadeus di Miloš Forman nel 1984, hanno inciso profondamente nell’immaginario collettivo. In quel film, visto da milioni di persone, Salieri è un vecchio tormentato dal rimorso che si taglia le vene per aver avvelenato Mozart. È una grande opera di finzione, ma purtroppo ha segnato la percezione pubblica in modo quasi irreversibile. Uscire da questa narrazione richiede tempo, cultura e – soprattutto – l’ascolto della sua musica».

Il Requiem di Salieri è raramente eseguito, eppure rivela una scrittura vocale e corale di grande raffinatezza. Quali sono le principali sfide interpretative per un direttore d’orchestra?

«Il Requiem di Salieri è un pezzo bellissimo. Parliamo di un compositore straordinario, tra i più stimati del suo tempo, attivo in una delle capitali culturali del mondo: Vienna. La vera sfida interpretativa sta nel fatto che questa musica vive tra due epoche. Ci sono passaggi che sembrano scritti da Bach o Händel – quindi dai “nonni” di Mozart – e aspetti che sembrano scritti da Beethoven, quindi della generazione dei “figli di Mozart”. Salieri si muove tra Settecento e Romanticismo, tra l’eredità barocca e l’orizzonte moderno. Fra convivere questi due mondi in una stessa pagina convivono questi due mondi, dando coerenza e unità non è sempre semplice».

Il corno inglese, presente in questa partitura, è un dettaglio insolito per l’epoca. Qual è il suo ruolo timbrico ed espressivo all’interno dell’opera?

«La grande particolarità di questa partitura è proprio la presenza del corno inglese, che probabilmente al tempo di Salieri non era lo strumento che abbiamo oggi ma un suo “parente”. Ciò che colpisce è come venga usato per il suo timbro nasale, profondo, quasi doloroso. Nella tradizione occidentale questo strumento è spesso associato al lutto e alla morte. Penso, ad esempio, al terzo atto del Tristano di Wagner, dove il corno inglese evoca un senso di desolazione, oppure a un brano di Sibelius in cui rappresenta il cigno nero della mitologia nordica, guardiano dell’aldilà. Salieri lo interpreta in modo originale, è uno dei primi a conferirgli un ruolo così ampio e centrale in una composizione sacra».

Che emozioni spera di suscitare nel pubblico? E cosa si augura che possa restare, al termine del concerto, nella memoria degli ascoltatori?

«I Requiem sono concerti molto particolari. Diversamente da un’opera, da una sinfonia o da altri brani di musica sacra, ci pongono direttamente davanti al tema ultimo dell’esistenza: la morte, e ciò che può esserci dopo. Che si ascolti da credenti o da laici, il confronto è inevitabile. La musica di un Requiem deve portare il pubblico a uscire dal teatro o dalla chiesa con delle domande aperte, domande vere. Sono brani intensi, perché i compositori, di fronte a un testo così potente vi riversano tutta la loro forza espressiva, la loro umanità. È un’esperienza impegnativa, tanto da eseguire quanto da ascoltare.

Il Requiem di Salieri sarà replicato anche a Novara, portando l’omaggio a Salieri oltre i confini di Legnago. Cosa significa per lei condividere questo tributo con un pubblico più ampio?

«Lo riproporremo al Teatro Coccia di Novara, affiancandolo a un brano contemporaneo scritto appositamente da Alberto Cara. È importante che la musica di Salieri venga rivalutata anche al di fuori della sua città natale e venga riconosciuta pian piano come patrimonio nazionale».

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