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“TANTO gli faccio gol comunque “. Era il 3 novembre 1985. Nona giornata di campionato. Quella domenica si scatenò il diluvio universale su Napoli e la sua provincia. Al San Paolo arrivava una Juve prima in classifica. Lo stadio era una bolgia. Proletari contro padroni. Briganti contro Piemontesi. Borbone contro Savoia. Azzurro contro incolore. Maradona contro Platini. E Napoli-Juventus era ancora, da queste parti, una gara che, se vinta, avrebbe reso una stagione altrimenti amara, decisamente più apprezzabile. Sarebbe stata l’ultima volta, comunque. L’anno dopo sarebbe stato il coronamento del sogno più grande, lo scudetto.

Fallo in area di rigore di Scirea su Bertoni. La punta del piede del numero 6 bianconero in faccia al Pibe de oro. Rigore! Rigore! Tutto il San Paolo urlava. Per Giancarlo Redini di Pisa era solo un calcio di punizione a due in area. Il Napoli protesta, vuole il penalty. Niente da fare. E’ calcio di punizione. Il destino aveva deciso così. Lui piazza la palla e parlotta con Pecci. “Tanto gli faccio gol comunque”. Una promessa sfacciata, irripetibile. Nessuno nella storia avrebbe potuto mantenerla. Nessuno tranne lui, naturalmente. Diego Armando Maradona ha la testa bassa, non gli interessa di una barriera piazzata a cinque metri. È quasi infastidito dalle proteste dei compagni: a lui non frega nulla. Lui ha già visto. Lui già sa come andrà a finire. Manca l’atto, quasi superfluo, quando nella mente hai la visione divina di quello che sarà.

VIDEO – GUARDA LA PUNIZIONE ALLA JUVE

Quella del 3 novembre è la prima trasgressione sessuale della storia del calcio, consumata davanti al mondo. Diego fa l’amore e il sesso con il pallone, lo accarezza sinuoso, tocca il punto di massimo godimento. Il finale è un urlo liberatorio. La storia è lì, in piedi, ad applaudire. Contro ogni legge della fisica la palla entra nel sette, nulla da fare per Tacconi.

La storia del riscatto parte da qui. Maradona non è stato un semplice genio del calcio. E’ stata leggenda, simbolo del risveglio sociale e sportivo di Napoli, del Napoli, del Sud. E’ il fenomeno popolare che ha trascinato una città, alimentato l’economia (anche quella sommersa), alleviato le ferite e donato un sorriso agli ultimi e ai bambini. Da quel 3 novembre del 1985, Diego divenne emblema di un Sud che poteva vincere contro il Nord, quel Nord pieno di meridionali discriminati, quel Nord all’avanguardia, quel Nord che denigrava e gettava fango, in qualsiasi circostanza, sui napoletani. A quel “lavali con il fuoco”, Diego rispondeva sul campo. Maradona seppe resistere a tutto ciò: il suo talento fu più forte dei soldi, il suo estro fu più potente delle avversità e la sua tenacia fu più lungimirante delle programmazioni oculate di Juventus, Milan e Inter. El Pibe de oro, con le sue giocate, risarcì i napoletani, i meridionali, per tutte le volte, in cui venivano relegati ai margini, della società.

Diego si immedesimò nei napoletani e finì per esserne uno di loro. Ed è per questo che, nonostante lo scorrere inesorabile del tempo, i napoletani hanno sempre reso omaggio alla propria divinità, a quel “deus ex machina”, sceso dall’Olimpo, per glorificare Napoli.

Maradona o Pelè? Basta dire che Maradona ha vinto in un contesto societario e calcistico dove senza di lui non si sarebbe vinto nulla. E quindi Maradona è sempre meglio ‘e Pele. La questione è chiusa. Napoli e il Sud ringraziano.

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