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MARE pulito o sporco, europei di calcio e tutto il resto forse per qualche ora, oggi, dovrebbero passare in secondo piano.

di ROCCO VALENTI

MARE pulito o sporco, europei di calcio e tutto il resto forse per qualche ora, oggi, dovrebbero passare in secondo piano.

E’ il giorno ideale. E’ domenica, e per molti è il giorno del riposo, magari si riesce a ritagliare anche un piccolo spazio per la riflessione. Pensare a quello che è accaduto venerdì sera in Bangladesh, con i nove italiani morti – tra gli altri – nell’assalto terroristico ad un ristorante di Dacca, può essere la tragica occasione per farlo. Isis, Is o qualsiasi altra sigla dovesse venir fuori in seguito, non sono cose lontane. Nella notte tra venerdì e ieri, molti di noi, incollati al televisore per conoscere gli aggiornamenti sulla sorte dei connazionali che stavano cenando in quel ristorante, hanno sentito il problema terrorismo un po’ più vicino.

E questo per il semplice fatto che, avvezzi a guardare con un pizzico di attenzione in più solo quello che accade nel giardinetto di casa, per così dire, o che comunque riguardi al massimo i vicini in vacanza all’estero, ci riesce difficile soffermarci su cose un po’ più lontane. In generale, oggi, è come se si faticasse troppo a farsi un’opinione. Un tempo era impensabile poter assistere alla diretta video delle stragi, a portata di tasca (basta un cellulare), come accade oggi. Eppure ci viene difficile “pensare”: non è certo, dunque, per l’indisponibilità di elementi su cui ragionare. Probabilmente la cosa più difficile è rendersi conto che quelle immagini che ci sommergono non sono scene di un film.

Le centinaia di morti di Parigi, Bruxelles, Istanbul (solo per non stancarci troppo con la memoria) già erano un po’ più lontane da noi (europei sulla carta ed europeisti più o meno convinti), sebbene la folle connotazione di questi eventi sia la medesima. E una delle preoccupazioni era, in quelle circostanze, legata alla sicurezza degli aeroporti internazionali magari in vista di viaggi programmati. Preoccupazioni legittime, per carità (anche perché ci stavamo abituando ad un mondo “più grande” per tutti), ma, evidentemente, non possono essere le uniche.

In fondo, però, sappiamo bene che il problema è tanto mondiale quanto vicino a noi; sappiamo bene che il sangue che sgorga nelle mattanze compiute da questi uomini (definizioni diverse possono essere numerose) in giro per il mondo, così come quello versato in stragi di proporzioni immani che da anni si ripetono in posti sperduti del globo nel più assoluto silenzio, è sempre di colore rosso e ha lo stesso odore. E non tutte sono firmate dall’Isis. Ma restiamo alla storia, nota, di questi giorni, animata da terroristi che colpiscono, non essendo combattenti e quindi non avendo avversari pronti a difendersi, gente inerme in un bar piuttosto che in un aeroporto. Oggi il terrorismo che si richiama all’estremismo islamico (e ci hanno sempre insegnato che gli “…ismi” non portano mai cose buone) è un’emergenza drammaticamente vicina, anche se nell’elenco delle vittime non c’è un calabrese. Leggiamo dalle fonti di informazione internazionali che noi occidentali siamo colpiti anche in qualità di “crociati”.

D’altra parte, non rientra tra le nostre capacità quella di concepire come un uomo possa farsi esplodere per ammazzare. Neppure che possa farsi esplodere al di fuori da una unica volontà suicida. Ci rendiamo anche conto, da lettori di questo assurdo bollettino di guerra, quanto sia difficile pensare ad uno sterminio come soluzione al problema. Ci abbiamo messo tanto tempo per diventare un po’ più civili, nonostante tante volte abbiamo fatto finta di non capire (o, semplicemente, “non ci interessava”) che sotto le nostre bandiere si facevano cose che di civile avevano ben poco. Gli analisti, i commentatori, gli studiosi si sbizzarriscono in collegamenti e ricostruzioni. Noi, invece, rimaniamo storditi quando vediamo le foto dei cadaveri dopo le stragi, e se percepiamo l’evento come un po’ più vicino a noi veniamo assaliti dalla rabbia e abbiamo pensieri poco umani nei confronti degli autori degli eccidi. E poi basta. La soluzione non ce l’abbiamo. Molto spesso non proviamo neppure a cercarne nella nostra mente.

Eppure una qualche idea dobbiamo tentare di farcela. Una pur minima traccia di pensiero dalla quale partire per prendere consapevolezza di uno scenario nel quale non possiamo solo essere soggetti passivi, seppure sempre sul piano intellettivo. Probabilmente, dopo averci riflettuto per un po’, non si avranno le idee molto più chiare di prima, ma quantomeno, da italiani, avremo cominciato ad allenare le menti per evitare di abboccare alle strumentalizzazioni populistiche – finalizzate solo a ottenere consensi – del primo imbecille invitato o imbucato nel primo salotto televisivo utile che sbraita contro l’accoglienza dei migranti. E magari, con il cervello obnubilato dal pericolosissimo mix di apatia e rabbia verso gli italici amministratori, finiamo per credere che davvero per tenere lontano il terrore dai nostri salotti basti buttare a mare i migranti. Che orrore. Così facendo, le schiere degli involuti si ingrosserebbero. E la civiltà la si conquista, ma la si può perdere. Deve esserci un’altra strada, quantomeno per sentirci meno inermi, continuando a vivere nel terrore che la prossima volta possa accadere più vicino a noi.

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