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L’ombra della challenge dietro il suicidio del bimbo di 9 anni
«Voglio essere il tuo schiavo», «Voglio giocare anche io» e poi cuori, fiamme e migliaia di giovanissimi follower. “Jonathan Galindo”, un brutto viso di cane e lo sguardo maligno, si affaccia da numerosi profili social, coinvolgendo bambini e ragazzi e trascinandoli in un gioco perverso. Potrebbe essere lui, o chiunque si celi dietro il volto inquietante, l’istigatore al suicidio del piccolo di 9 anni, che il 25 gennaio scorso si è impiccato nella cameretta di casa, a Bari, con una cordicella avvolta attorno al collo e appesa ad un attaccapanni.

È la pista sulla quale sta lavorando da dieci mesi la Procura di Bari che, dopo aver avuto dall’autopsia la conferma della morte per soffocamento e aver passato al setaccio tutti i dispositivi digitali presenti in casa senza trovare tracce, sta tentando la strada della rogatoria internazionale in Irlanda per ottenere la cronologia dei video ai quali il bambino ha avuto accesso su Youtube.

È lì, secondo la pm Angela Maria Morea che coordina le indagini, la risposta alla ipotesi investigativa della sfida online. Gli investigatori ritengono che possa esserci un collegamento con il gioco social lanciato da Jonathan Galindo e chiamato come il suo protagonista, che spingerebbe ad uccidersi, sottoponendo gli utenti anche molto piccoli a prove estreme. Nei dispositivi digitali analizzati dai consulenti della Procura di Bari non sono stati trovati elementi utili, ma sarebbe stato il bambino a confidare ad alcuni amici di avere paura di qualcuno che lo aveva minacciato di andarlo a prendere di notte se non avesse fatto quello che gli chiedeva.

La marcata volontà della vittima sarebbe stata evidenziata anche dalla posizione in cui è stato trovato, e che secondo la Procura sarebbe stata consigliata dall’Orco: le gambe piegate, in sostanza, sarebbero state necessarie per compensare la poca altezza dell’attaccapanni. Di conseguenza, la pm ha aperto un fascicolo per istigazione al suicidio a carico di ignoti ed è l’ipotesi di reato sulla quale è al lavoro. Gli inquirenti, ora, stanno mettendo insieme tutti i casi simili, sparsi per l’Italia e che evidenziano un legame fra uno strano suicidio, portato a termine da minorenni, e il legame con il personaggio con il volto di Pippo. Uno di questi si è verificato a Napoli, circa un anno fa, quando un bambino di 11 anni si è buttato dal decimo piano di un palazzo, dopo aver lasciato un biglietto per la mamma: «Scusami mamma, ho paura dell’uomo nero».

Su Youtube sono moltissimi i video, anche realizzati da youtuber, che analizzano il fenomeno, ma il lato oscuro della challenge ancora non è stato disattivato. A gestire il profilo originale, sarebbe una vera a propria organizzazione che spinge i ragazzini a superare una serie di sfide che portano a conseguenze estreme, inviando immagini spaventose e scrivendo anche frasi del tipo «Hai mai pensato al suicidio?». Anche oggi, visitando i tantissimi profili instagram con il volto di Pippo trasfigurato, tra i fan si scoprono anche bambini pronti a giocare, senza rendersi conto di stare finendo in un ingranaggio che potrebbe portarli alla morte.

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