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Lo stabilimento Bosch a Bari

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L’azienda che esprime buone intenzioni, quelle di affrontare la crisi con le parti sociali, affidate a un comunicato. L’ulteriore presa di posizione della Cgil, sia pugliese che nazionale, che punta attraverso i metalmeccanici della Fiom a un tavolo nazionale per affrontare la transizione dell’intero settore dell’auto. L’accusa del Pd al governo, e soprattutto al ministro dello Sviluppo economico in quota Lega, Giancarlo Giorgetti, di non avere la medesima attenzione per le vertenze del Nord e del Sud.

In attesa delle prime mosse concrete del ministero, su cui continua il pressing di politici e sindacati, continuano ad accavallarsi le reazioni su quanto emerso tra mercoledì e giovedì sulla Bosch di Bari, con l’annuncio dei 700 esuberi della multinazionale tedesca. Il Quotidiano del Sud a dicembre aveva rivelato come l’azienda avesse segnalato al ministero dello Sviluppo economico 620 lavoratori di troppo nel sito barese, il più importante della zona industriale del capoluogo, il secondo della Puglia. A distanza di un mese quel numero è addirittura aumentato, con lavoratori da licenziare nell’arco di cinque anni.

Una crisi che si trascina da oltre quattro anni ma che ora sembra divenire irreversibile. Settecento licenziamenti, su una platea già ridotta da quasi 1.900 a 1.700 con gli ultimi accordi del 2017, sono un’enormità. Una crisi legata al mercato delle pompe per l’iniezione dei motori diesel Common rail, settore destinato alla dismissione entro il 2035 per via della transizione ecologica ma già di fatto ridotto ai minimi termini. I sindacati da tempo spingono affinché l’azienda investa nelle trazioni di ultima generazione, ma finora sono arrivate solo quelle per le bici elettriche, che garantiscono 350 occupati destinati a crescere al massimo a 450. Il timore è la chiusura del sito. Il Mise ha dichiarato che monitora la situazione, ma le parole non bastano.

«È ora che il tavolo nazionale sul settore automotive riprenda e che ci siano tavoli singoli alla presenza del presidente del Consiglio, dei ministri competenti, degli amministratori delegati delle multinazionali del settore insieme ai sindacati. È ora il governo si metta al lavoro con i protagonisti della transizione ecologica della mobilità per impedire che l’Italia diventi il Paese che in Europa pagherà il conto più salato in termini di occupazione e industria», hanno incalzato i segretari nazionali Fiom, Francesca Re David e Michele De Palma, sollecitano l’esecutivo a dare corso a un confronto serrato con Fim Fiom e Uilm, che affronti la crisi dell’intero sistema da Stellantis a Marelli, da Bosch a Vitesco.

La parola chiave è: transizione industriale. La paura è quella dell’effetto domino del settore. «Qui in ballo non ci sono solo i 700 esuberi ma il futuro stesso dell’azienda – ha ribadito il segretario regionale Cgil Pino Gesmundo – e quindi di tutti e 1700 dipendenti dello stabilimento. Noi pretendiamo da Bosch la presentazione di un vero piano industriale e chiediamo che su questa vertenza si attivino anche tavoli nazionali, con il Mise e il ministero del Lavoro, dove la multinazionale deve venire a dirci perché in altre parti del mondo investe e in Puglia no.

Nonostante sia stata sostenuta con importanti finanziamenti pubblici e abbia realizzato un centro di ricerche all’avanguardia». Gesmundo focalizza il suo intervento su due aspetti, gli investimenti necessari attraverso il Piano nazionale di ripresa e resilienza verso le nuove trazioni e la disparità di ciò che accade altrove, dove Bosch continua a investire.

«Siamo all’alba di una fase di profonda trasformazione della nostra economia – specifica il segretario e deputato Pd Marco Lacarra, attaccando il ministro Giorgetti – la transizione ecologica ci impone di ripensare i processi produttivi, di riconvertire intere branche manifatturiere, di ripensare il lavoro e l’industria. Lo stabilimento Bosch di Bari si occupa all’80 per cento di produzioni che nei prossimi anni andranno a scomparire. Il ministro convochi immediatamente un tavolo e scongiuri questo disastro annunciato. E soprattutto dimostri con i fatti, e non a parole, che l’attenzione per il Mezzogiorno è pari a quella riservata all’industria del Nord».

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