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Il Comune di Bari

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Solamente nel 2017 Bari ha ricevuto dallo Stato quasi 20 milioni in meno di trasferimenti rispetto al reale fabbisogno finanziario per coprire le spese dei servizi essenziali, dai trasporti alla scuola. E’ l’effetto, distorto, del calcolo della spesa storica che penalizza il Sud e, in questo caso particolare, Bari, unica città tra quelle sopra i 200mila residenti ad avere un «buco» così importante.

A fare i calcoli è la fondazione Openpolis, il risultato per la città di Bari è negativo, in tutti i sensi: a distanza di 12 anni dalla legge Calderoli che ha messo in funzione il federalismo fiscale, gli effetti sono devastanti. Da un lato la mancata applicazione dei Lep, i livelli essenziali delle prestazioni introdotti dalla riforma del titolo V della Costituzione ma del tutto ignorati; e dall’altro il calcolo dei fabbisogni standard dei Comuni che altro non fa che ricalcare la vecchia spesa storica, hanno messo in ginocchio i Comuni del Mezzogiorno, Bari più di altri.

Infatti, confrontando la spesa storica (l’ammontare effettivamente investito dalla singola Regione o da un Comune in un anno per l’offerta dei servizi ai cittadini) con la spesa standard (il reale fabbisogno finanziario di un ente in base alle caratteristiche territoriali, agli aspetti socio-demografici della popolazione residente e ai servizi offerti) emerge che Bari riceve ogni anno molti milioni in meno rispetto ai suoi reali bisogni. Solo nel 2017 parliamo di 20 milioni in meno.

A differenza di altre grandi città, quasi tutte del Nord, che invece ricevono più di quanto avrebbero bisogno: a Roma la differenza tra spesa storica e standard è di oltre 220 milioni di euro, a Milano di 126,9 milioni, a Venezia di 101,2 milioni. Ma l’elenco potrebbe proseguire con Bologna, Torino, Firenze, Ancona, Parma, per citarne alcune: queste città hanno una spesa storica superiore alla spesa standard, significa che ricevono più soldi. Il calcolo dei fabbisogni standard è il vero problema. Il metodo usato per la ripartizione del fondo perequativo riguarda i 6.700 comuni delle 15 regioni a statuto ordinario ed è basato su un calcolo che considera fabbisogni standard e capacità fiscali. I fabbisogni standard sono indicatori che stimano per ogni ente locale, il fabbisogno finanziario necessario per svolgere le proprie funzioni fondamentali.

Sono definiti in base alla spesa media per i servizi di comuni simili a quello considerato, per caratteristiche demografiche, socio-economiche e morfologiche. La capacità fiscale, invece, è la stima delle risorse che un ente locale ricava dalle sole entrate tributarie del proprio territorio. Per decidere come distribuire il fondo perequativo, viene calcolata per ogni comune la differenza tra il suo fabbisogno standard totale e la sua capacità fiscale. Non aver definito i livelli essenziali di prestazione delle funzioni fondamentali è stata una grave mancanza.

Una lacuna che ha impedito di elaborare un sistema di finanziamento basato sulla reale necessità di servizi sul territorio. Definire i Lep avrebbe infatti permesso di determinare quali comuni non riescono a garantirli e indirizzare le risorse nei territori più svantaggiati. Il risultato? Sapete quando può spendere la città di Milano per garantire l’istruzione dei propri ragazzi? Mediamente 1.106 euro per ogni studente. Napoli, invece, 845 euro pro capite, Bari 737 euro, Reggio Calabria addirittura 540 euro; contro i 993 di Bologna e i 913 euro pro capite di Torino. Per gli asili nido il Comune di Reggio Calabria non può permettersi di stanziare, in media, più di 45 euro per ogni suo bambino, Milano spende, invece, 309 euro pro capite, Torino 208 euro, Bologna 246 euro; Bari e Napoli, rispettivamente, 181 e 142 euro per ogni bimbo.

La Regione Puglia, nel 2016, per garantire agli oltre 4 milioni di cittadini i servizi di istruzione, asili nido, polizia locale, pubblica amministrazione, viabilità e rifiuti, ha potuto spendere 2,22 miliardi ma avrebbe avuto bisogno di 2,32 miliardi, circa 100 milioni in più. In sostanza, la Puglia – avendo ottenuto trasferimenti statali inferiori rispetto al reale fabbisogno finanziario – ha dovuto stringere la cinghia, mentre il Piemonte nonostante un fabbisogno reale di 2,74 miliardi ne ha spesi 2,81, cioè 70 milioni in più.

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