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Nel 2019, prima dell’esplodere della pandemia Covid-19, la Puglia ha perso 550 medici e 894 infermieri per pensionamenti o trasferimenti. Di contro, le assunzioni sono state 439 per i medici e 826 per gli infermieri. Un bilancio finale in «rosso»: complessivamente la regione ha perso 111 medici e 68 infermieri, 179 dipendenti sanitari a tempo indeterminato. Così, il sistema sanitario regionale, ogni anno, viene depauperato della sua prima risorsa, quella umana. Al netto del Covid che ha portato a nuove assunzioni anche se molte a tempo determinato per ora, alle «uscite» ogni anno non corrispondono almeno altrettante «entrate».

Un andazzo che ha provocato la perdita di migliaia di lavoratori nel comparto sanità, sempre più sguarnito. I calcoli sono effettuati dal ministero della Salute nel rapporto annuale. Basti pensare che, dal 2012 al 2018, l’Italia ha «perso» oltre 42mila operatori sanitari, tra medici e infermieri e altre figure ospedaliere, ma il record spetta al Sud: la Campania primeggia, perché ha dovuto fare a meno di 10.490 dipendenti sanitari, in pratica gli ospedali si sono svuotati di dipendenti.

Ma la Puglia di certo non sorride: ha perso 2.229 dipendenti in sei anni. Una emorragia continua. Colpa della spending review, ma soprattutto del blocco del turn over, che ha impedito di sostituire chi andava in pensione o si trasferiva altrove, e dei lacci e lacciuoli fissati dai ministeri dell’Economia e della Salute a quelle regioni, quasi tutte del Sud, che sono finite in piano di rientro. E’ quanto emerge dal rapporto dell’associazione «Salutequità 2021», che ha elaborato dati del ministero della Salute.

Anche il Nord Italia ha visto una contrazione di dipendenti ospedalieri, ma ben più contenuta: per fare un rapporto, gli organici della Lombardia si sono ridotti di 2.888 lavoratori, un quinto rispetto alla Campania, meno della Calabria e poco più della Puglia. Non solo: la Lombardia, dal 2012 al 2018, non ha perso medici, anzi quelli sono aumentati: +290, mentre la Campania ha visto andar via 1.739 camici bianchi, la Puglia 374, il Molise 204. Anche il Veneto ha conosciuto una riduzione degli organici di 1.924 operatori sanitari, ma i medici «persi» sono stati solamente 73. La Toscana, come la Lombardia, ha potenziato il numero di medici: +97. L’Emilia Romagna ha limitato i danni con -1.328 dipendenti e -102 medici. La Campania ha anche il record, poco invidiabile, di infermieri persi: -3.251.

Un progressivo depauperamento di risorse umane che ha svuotato gli ospedali di personale e competenze. E che ha aumentato, nel corso degli anni, il gap Nord-Sud. In Puglia, dove si conta una popolazione di circa quattro milioni di abitanti, attualmente il personale sanitario a tempo indeterminato impegnato negli ospedali supera di poco le 35mila unità; in Emilia Romagna (4,4 milioni) i dipendenti sono invece oltre 57mila, in Veneto (4,9 milioni) quasi 58mila, in Toscana (3,7 milioni) sono quasi 49mila, in Piemonte (4,3 milioni) sono 53mila, non parliamo della Lombardia dove si sfiora le 100mila unità. La Campania, che fa 5,8 milioni di residenti, può contare soltanto su 42mila operatori sanitari, persino il Lazio (5,8 milioni di abitanti) ha appena 41mila dipendenti a tempo indeterminato al lavoro nella sua sanità.

Se ci fosse bisogno ancora di una conferma delle due Italie prodotte da una iniqua ripartizione del fondo sanitario nazionale, ecco che la prova la consegna la Corte dei Conti nel suo «Rapporto 2020 sul coordinamento della finanza pubblica». Parlare di liste di attesa e mobilità passiva a fronte di questi numeri diventa quasi superfluo: come si può chiedere alla Puglia, a quasi parità di popolazione, di riuscire a svolgere lo stesso numero di esami e visite mediche dell’Emilia Romagna che ha 22mila lavoratori in più?

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