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di SARA LORUSSO
POTENZA – Arrampicarsi fin lassù, a contrada San Luca Branca di Potenza, non è facile. Le strade sono dissestate, il suolo franoso e, se è cattivo tempo e c’è foschia, si rischia di superare la traversa giusta, quella che porta diritta all’inceneritore dormiente. L’impianto è spento da anni, dopo aver funzionato poco e non aver ottenuto il collaudo. Da anni si va avanti con lavori di adeguamento, nuovi soldi spesi per la messa in funzione, frequenti presidi sindacali per i lavoratori licenziati dopo essere stati assunti a tempo indeterminato e aver operato per un paio di anni. All’esterno campeggia il cartello dei lavori (gli ultimi di una lunga serie, costati circa 250 mila euro): cominciati ad agosto sarebbero dovuti terminare ieri, il 27 ottobre 2011. Basteranno a riavviare l’impianto? Pare di no, perché ultimati i lavori di competenza comunale, sembra che il privato gestore, un gruppo controllato per la gran parte da Veolia, la multinazionale francese del settore, abbia chiesto nuovi fondi. Ma da Palazzo di città non è arrivata risposta positiva: troppi i soldi fino ad oggi impiegati in quella struttura. E sembra che l’amministrazione Santarsiero si sia riservata una valutazione con gli uffici tecnici e legali del Municipio.
L’inceneritore di Potenza è uno dei pezzi del piano provinciale dei rifiuti in vigore, uno degli impianti su cui era stato calibrato lo smaltimento della spazzatura sul territorio. Fermo e improduttivo, continua comunque a richiedere spesa pubblica (va portato al collaudo). Diverse volte se ne è discusso in dibattiti pubblici e sedi istituzionali, anche per provare a fare una stima delle risorse investite (c’è chi dice sprecate) sull’impianto: il Comune, che ne ha la proprietà, deve aver superato di parecchio i 20 milioni di euro.
La storia di questo impianto, che oggi per molti sembra «nato vecchio», è stata in parte raccontata in un documento stilato dagli uffici di Palazzo di città, su richiesta di alcuni consiglieri regionali che l’anno scorso ne fecero oggetto di dibattito in commissione. E’ il 1988 quando, con delibera Cipe, si finanzia il «progetto per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani dell’alto bacino del Basento per poco più degli attuali 9 milioni e mezzo di euro». Il Comune affida i lavori attraverso una gara ad inviti; se l’aggiudica l’impresa Forni e impianti industriali De Bartolomeis spa, a capo di un’associazione temporanea di imprese di cui fanno parte Antonio e Raffaele Giuzio e Giovanni Basentini. Ma in poco tempo si apre una contesa giudiziaria e amministrativa con la seconda classificata, l’ati capitanata da Tecnitalia e formata da Aerimpianti, Fiat Enginering e Michele Tolla. Mentre il Comune si appella al Consiglio di Stato contro la sentenza del Tar che annullava l’assegnazione dell’appalto, la città entra in emergenza rifiuti. L’amministrazione decide di assegnare in «urgenza» i lavori al gruppo De Bartolomeis. Peccato che, dopo una nuova impugnazione di Tecnitalia, il Tar abbia nuovamente annullato il provvedimento.
In attesa dell’esito del contenzioso, il Comune va avanti anche perché l’opera è di «rilevanza strategica»: un’intesa tra Regione e ministero dell’Ambiente prevede l’aggiunta di una linea di preselezione e la sistemazione finale della discarica, con un finanziamento superiore agli attuali 3 milioni di euro. Il resoconto arriva, così, ad inizio anni ’90, quando la gran parte della normativa ambientale cambia: c’è bisogno di lavori di adeguamento dell’impianto, per circa 13 milioni di euro. E’ nel 1994 che il Consiglio di Stato si pronuncia definitivamente contro il Comune: l’appalto andava rifatto.
Due anni dopo, inoltre, il quadro si ingarbuglia perché la ditta De Bartolomeis fallisce e viene acquisita dalla Termomeccanica di La Spezia. L’inceneritore, nel frattempo, non è ancora pronto. Così il Comune stipula «un nuovo contratto con le imprese Ansaldo Tecnitalia, Tolla Michele, Sogespar per un importo di circa 3 milioni e mezzo di euro» (che si aggiungono al residuo dei contratti precedenti, rimasti inevasi).
Comincia, poi, la fase di esercizio provvisorio, che sarebbe dovuta durare 24 mesi, in vista della gara per la gestione definitiva dell’impianto. Il contratto di gestione è svantaggioso per la parte pubblica, che paga un canone annuale di circa 2 milioni e 600 mila euro (più iva) a fronte di pochissime tonnellate di rifiuti smaltite. Con il mancato rinnovo del contratto al gestore provvisorio, arrivano i licenziamenti degli operai, le proteste sindacali, le trattative sui fondi necessari. E cambia anche la controparte privata.
Oggi è la Veolia a guidare un gruppo di privati di cui fanno parte anche le società Tep e Tyke. Ma resta in piedi il garbuglio burocratico sulle ditte che si sono succedute nella costruzione, con ripercussioni sulla componentistica (tra chi ha installato cosa e quando).
Sono gli stessi uffici comunali a commentare parte della storia controversa di questo impianto, nel resoconto fatto ai consiglieri regionali: «Le ripetute interruzioni e ripartenze hanno generato discontinuità, un certo rallentamento oltre a evidente usura dell’impianto». Gran parte del tempo tra la realizzazione e l’avvio dell’esercizio è stato «impiegato prevalentemente per reperire fideiussioni e garanzie, prescritte nelle autorizzazioni» necessarie. Nel frattempo, l’inceneritore si consumava e dormiva.

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