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QUELLO CHE SEMBREREBBE il settore per  natura più al riparo dagli effetti di un sisma, risulta, nel lungo periodo, il settore più penalizzato, con l’abbandono delle attività agricole nei territori interessati. Se negli ultimi  trent’anni, fino al  2010, in Italia si è perso il 18,8% della superficie agricola, in Basilicata e in Campania colpite dal terremoto del 1980  il fenomeno è stato più accentuato sino a diminuire, in media, di un quarto (-24,9%), nonostante i danni arrecati a terreni, piante, colture, appaiono sempre meno rilevanti di quelli ai fabbricati ad uso imprenditoriale o civile.
È quanto emerge da una ricerca realizzata dal Censis per la Cia (Confederazione italiana agricoltori) sullo stato delle economie e delle agricolture nelle aree del Paese colpite dai terremoti dagli anni ’80 a oggi, presentata a L’Aquila nel corso della settima Festa nazionale dell’Agricoltura, dove è presente anche  e uno stand di produzioni agricole-alimentari lucane (peperone di Senise, pecorino di Filiano, apicoltori e dell’ortofrutta del Metapontino). 
Diversi sono i fattori che – è stato spiegato in un incontro al quale ha partecipato la delegazione Cia lucana – possono spiegare questo fenomeno. Da un lato l’impulso economico generato dalle attività di ricostruzione accelera i processi di sostituzione tra attività primarie e secondarie-terziarie, spostando forza lavoro verso settori, come l’edilizia, fortemente incentivati dall’economia post-terremoto. Dall’altro lato pesa anche la maggiore longevità dei conduttori delle imprese agricole rispetto alle aziende dell’industria e dei servizi, che può spingere più facilmente all’abbandono dell’attività a seguito di un evento così traumatico come un sisma.
Non va poi trascurato che nella scala delle emergenze, che determinano le priorità di intervento nella fase successiva all’evento, solo in rarissimi casi l’agricoltura si trova ai primi posti. Ciò determina un ritardo nel ripristino delle condizioni di impresa che in alcuni settori -soprattutto quello zootecnico e agroalimentare- possono risultare determinanti per la sopravvivenza di molte aziende.
Nel corso del dibattito la delegazione della Cia lucana ha trasferito l’esperienza maturata dopo il terremoto del 1980.
«Per la classe dirigente della nostra Confederazione, gli anni del terremoto – afferma il presidente Cia Donato Distefano – sono stati fortemente formativi per affrontare problemi e situazioni di emergenza e dal superamento dell’emergenza passare poi, specie nell’area Marmo-Melandro quella del cosiddetto “cratere” del 23 novembre 1980, ai tanti esempi di agricoltura di qualità, multifunzionalità, agriturismo di eccellenza, allevamenti zootecnici efficienti, in grado d accrescere il reddito degli agricoltori. Va ricordato come soprattutto in quei territori che vivono di un’agricoltura diffusa, molto legata al territorio, come produzione e commercio, l’evento sismico rappresenta un vero e proprio trauma, facendo venire meno, almeno nel breve periodo, quei mercati di sbocco che spesso rappresentano per gli agricoltori la principale se non l’unica occasione di vendita dei propri prodotti». 

Quello che succederebbe il settore per  natura più al riparo dagli effetti di un sisma, risulta, nel lungo periodo, il settore più penalizzato, con l’abbandono delle attività agricole nei territori interessati. 

 

Se negli ultimi  trent’anni, fino al  2010, in Italia si è perso il 18,8% della superficie agricola, in Basilicata e in Campania colpite dal terremoto del 1980  il fenomeno è stato più accentuato sino a diminuire, in media, di un quarto (-24,9%), nonostante i danni arrecati a terreni, piante, colture, appaiono sempre meno rilevanti di quelli ai fabbricati ad uso imprenditoriale o civile.

È quanto emerge da una ricerca realizzata dal Censis per la Cia (Confederazione italiana agricoltori) sullo stato delle economie e delle agricolture nelle aree del Paese colpite dai terremoti dagli anni ’80 a oggi, presentata a L’Aquila nel corso della settima Festa nazionale dell’Agricoltura, dove è presente anche  e uno stand di produzioni agricole-alimentari lucane (peperone di Senise, pecorino di Filiano, apicoltori e dell’ortofrutta del Metapontino). 

Diversi sono i fattori che – è stato spiegato in un incontro al quale ha partecipato la delegazione Cia lucana – possono spiegare questo fenomeno. 

Da un lato l’impulso economico generato dalle attività di ricostruzione accelera i processi di sostituzione tra attività primarie e secondarie-terziarie, spostando forza lavoro verso settori, come l’edilizia, fortemente incentivati dall’economia post-terremoto. Dall’altro lato pesa anche la maggiore longevità dei conduttori delle imprese agricole rispetto alle aziende dell’industria e dei servizi, che può spingere più facilmente all’abbandono dell’attività a seguito di un evento così traumatico come un sisma.

Non va poi trascurato che nella scala delle emergenze, che determinano le priorità di intervento nella fase successiva all’evento, solo in rarissimi casi l’agricoltura si trova ai primi posti. Ciò determina un ritardo nel ripristino delle condizioni di impresa che in alcuni settori -soprattutto quello zootecnico e agroalimentare- possono risultare determinanti per la sopravvivenza di molte aziende.Nel corso del dibattito la delegazione della Cia lucana ha trasferito l’esperienza maturata dopo il terremoto del 1980.

«Per la classe dirigente della nostra Confederazione, gli anni del terremoto – afferma il presidente Cia Donato Distefano – sono stati fortemente formativi per affrontare problemi e situazioni di emergenza e dal superamento dell’emergenza passare poi, specie nell’area Marmo-Melandro quella del cosiddetto “cratere” del 23 novembre 1980, ai tanti esempi di agricoltura di qualità, multifunzionalità, agriturismo di eccellenza, allevamenti zootecnici efficienti, in grado d accrescere il reddito degli agricoltori.  Va ricordato come soprattutto in quei territori che vivono di un’agricoltura diffusa, molto legata al territorio, come produzione e commercio, l’evento sismico rappresenta un vero e proprio trauma, facendo venire meno, almeno nel breve periodo, quei mercati di sbocco che spesso rappresentano per gli agricoltori la principale se non l’unica occasione di vendita dei propri prodotti». 

 

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