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LA strategia della Metapontum Agrobios , impostata negli anni 80, era parte integrante del disegno di sviluppo industriale dell’ENI intenzionato ad entrare in modo massiccio nel settore delle biotecnologie. L’ENI creò diverse società in Italia e la Enichem Americas negli USA con l’obiettivo di sviluppare innovazione biotech per l’agricoltura e l’agroindustria, puntando con decisione sulle tecnologie molecolari in ambito vegetale. In questo scenario Agrobios fungeva allora da terminale italiano, in forte interazione con Enichem Americas, per le attività di R&D in campo vegetale, con l’obiettivo di tradurre alcune innovazioni e di lanciarne altre originali, specificamente per l’agricoltura italiana e mediterranea più in generale. Le scelte sulle politiche di sviluppo industriale di Agrobios venivano decise da Eni (e/o dalle sue partecipate in relazione alla loro presenza nel capitale della Società), e la gestione della Società era affidata da ENI a suoi dirigenti, mentre la Regione Basilicata fungeva da garante istituzionale territoriale. La traduzione industriale delle ricerche sviluppate era dunque nelle mani del socio ENI, che aveva il compito di introdurle sul mercato impiegando le sue Società. Furono questi gli anni più intensi per lo sviluppo delle attività della Società. Nella prima metà degli anni 90 questo disegno strategico cominciò a vacillare, più per scelte strategiche di tipo industriale da parte dell’ENI che per demerito dei risultati tecnologici conseguiti sui vari fronti progettuali aperti. In particolare la decisione di ritirasi nel core business (petrolio ed energia) e la questione ENIMONT contribuirono ad accelerare il processo di dismissioni, che come un’onda lunga, toccò Agrobios nella seconda metà degli anni 90 e culminarono nel 1998, quando Enichem uscì dalla compagine societaria. A questo proposito è ben nota la parallela vicenda dolorosa dell’abbandono della Val Basento. La Regione si ritrova a quel punto socio unico di una Società le cui scelte strategiche tecnologiche e di mercato appartenevano al gruppo multinazionale ENI. L’unica strada era quella di ricercare un nuovo partner che sostituisse ENI nelle funzioni strategiche: tecnologica e del mercato. Furono gli anni dell’ingresso in Agrobios della società BIOREN. In poco tempo questo tentativo fallì e la Regione ancora una volta si trovò da sola ad affrontare il difficile e, per molti aspetti, inadatto compito di guidare una società senza avere gli strumenti strategici propri di un grande imprenditore. La Regione decide un progressivo aumento degli affidamenti ad Agrobios di attività di monitoraggio ed analitiche nel settore ambientale ed in agricoltura sul proprio territorio ed in tal modo porta in equilibrio la Società. Mentre le attività della ricerca trovano impulso nelle competenze scientifiche maturate all’interno della società. Con l’entrata in vigore del decreto 223/2006 sulla concorrenza, Agrobios riceve il colpo di grazia. Infatti, quella norma impone alle società partecipate dalle Pubbliche Amministrazioni di avere l’oggetto esclusivo ed operare esclusivamente con il proprio socio (nel nostro caso solo con la Regione). Ciò determina una ulteriore difficoltà nel rendere compatibili gli affidamenti diretti con le attività sul mercato, ancorché rarefatto, della ricerca. La Regione con il Presidente De Filippo ha fronteggiato questa difficile situazione con le uniche armi disponibili: continuare a far svolgere ad Agrobios le attività che almeno dal 2003 hanno consentito di chiudere i bilanci e affidando alla Società il compito di coordinare il Polo biotech verde nell’ambito del Programma “Strategia Regionale per la Ricerca, l’Innovazione e la Società dell’Informazione 2007-2013” . Per parte sua, il Consiglio di Amministrazione che presiedo dal luglio 2008, dopo aver superato, all’indomani dell’insediamento, la grave crisi che fu risolta con la legge regionale 21/2008 con cui la Regione ripianò 3,7 milioni di euro frutto del disavanzo dell’esercizio 2007, ha attuato gli indirizzi del Consiglio Regionale riducendo drasticamente le spese. Con apposito accordo sindacale ben 11 dipendenti su 65 sono stati incentivati all’esodo; sono stati cancellati rapporti con fornitori; sono state cassate o ridotte tutte le spese non indispensabili a cominciare da quelle per il C.d.A., sono state avviate le procedure di evidenza pubblica per tutti gli affidamenti. In tal modo le spese sono state ridotte di oltre un milione di euro all’anno. Anche grazie a queste misure Agrobios ha chiuso in pareggio i bilanci 2008 e 2009. Nel contempo è stato avviato il progetto del Polo biotech verde contenuto. Ma ovviamente tutto ciò non è bastato e non basta. In questi giorni si è fatto un gran parlare di necessità di manager, tecnici e quant’altro alla guida di Agrobios. In verità, viene trascurato il vero problema: le attività di ricerca non possono essere realizzate da una società il cui capitale è interamente in mano alla Regione per il semplice fatto che la legge obbliga quella società a lavorare solo su affidamenti della Regione. Ora, a parte tutte le considerazioni di carattere tecnico-scientifico sulla utilità della ricerca in ambito esclusivamente regionale, è chiaro che una condizione siffatta è ostacolata da vincoli di carattere istituzionale difficilmente superabili. E in definitiva impedirebbe la realizzazione di una strategia di lungo periodo. In questo caso non c’è manager che tenga. Per garantire continuità ad Agrobios è necessario aprire la società ad un socio o più soci con interessi nel mercato della ricerca nel campo delle biotecnologie. Imprenditori che possano trovare conveniente utilizzare il ricco patrimonio professionale, di brevetti, strumentale posseduto da Agrobios. Questo occorre verificare, come è scritto nell’art. 27 della legge approvata in luglio dal Consiglio Regionale. E per questa verifica la Regione ha previsto un periodo di pochi mesi. Nel frattempo per evitare il “default”, l’insolvenza di Agrobios è necessario continuare gli affidamenti che consentano di riprendere il lavoro. Con il Presidente De Filippo che si è sempre impegnato allo stremo per garantire la “continuità aziendale” che, lo dico agli esperti, non è una formulazione astratta e generica (lo sanno bene i revisori dei conti e il collegio sindacale .), stiamo mettendo a punto i progetti da tempo all’attenzione dei Dipartimenti per passare rapidamente alla fase di deliberazione e affidamento. Abbiamo calcolato questo tempo in poche settimane. Di fronte a tale situazione siamo tenuti per il bene dei dipendenti, della Società, dei componenti il Consiglio di Amministrazione e della stessa Regione a non assumere “impegni di spesa” se non a fronte della certezza della copertura. Ecco perché pochi giorni dopo l’adeguamento dello Statuto davanti al Notaio (8 agosto) ho aperto la procedura di Cassa Integrazione Ordinaria il 12 agosto. Una misura del tutto normale ed ordinaria come sanno bene i sindacati che, purtroppo, quotidianamente sono chiamati a firmare accordi di questo genere. Cosa deve fare il Presidente di una società di capitali se non rispettare le norme del codice civile? Leggo nelle reazioni del sindacato (in verità non di tutti i sindacati) una disparità di trattamento rispetto ad aziende private, come se una società a capitale pubblico non deve rispettare le regole. Sappiamo tutti che l’alternativa allo sforzo che stiamo mettendo in atto esiste, è scritta nell’art. 27 della legge regionale 17/2011. E’ una alternativa che siamo chiamati tutti a scongiurare, innanzitutto i rappresentanti istituzionali. Sono vicino ai dipendenti di Agrobios e ne comprendo l’ansia e le preoccupazioni ma loro sanno quanto e più di me come stanno le cose. Per parte mia avrei potuto dimettermi da tempo, lasciando la patata bollente in mano ad altri. Magari avrei anche riscosso qualche consenso unendomi al coro delle proteste ma non avrei dimostrato senso di responsabilità e onestà intellettuale soprattutto nei confronti dei lavoratori di Agrobios e del Presidente della Regione.

Salvatore Adduce Presidente e A.D. Metapontum Agrobios

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