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ERA il 23 agosto 2014 quando il coordinatore provinciale dell’Ona, l’unica associazione in Calabria a occuparsi delle problematiche legate all’amianto, Giuseppe Infusini parlò di Cosenza come “la città più contaminata” e di un problema assolutamente “sottovalutato”. Infusini fu ascoltato in quei giorni anche dalla IV Commissione Ambiente della Regione, rilanciando la drammaticità della situazione: «Manca una mappatura seria della presenza di amianto sul territorio». Ad affiancare Infusini nel suo lavoro anche il geologo Beniamino Falvo.

Da allora ad oggi nulla è cambiato: sono 300 i casi segnalati tra immobili pubblici e siti pericolosi. Oltre alle autodenunce si sono sommate diverse schede compilate dagli agenti del Corpo Forestale dello Stato che hanno agito nell’ambito di un protocollo d’intesa. Dagli uffici del Comune pare siano stati emessi più di 50 provvedimenti, tra ordinanze e diffide, sulla base di un rapporto Asp.

Non mancano esempi di bonifica: la chiesetta del Santissimo Crocifisso in via Spirito Santo di proprietà della Curia, una serie di scuole ad elevato rischio e un immobile comunale nella zona di Sant’Antonio dell’Orto. Serve però al più presto l’attivazione del Piano regionale. E poi gli incentivi. Perché forse il vero problema rimane il denaro che il privato deve sborsare per l’eliminazione e la bonifica.

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