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MILETO (Vibo Valentia) – La decisione del Tar Lazio di rigettare il ricorso della maggioranza che sosteneva l’ex sindaco Vincenzo Varone contro lo scioglimento del Consiglio comunale per sospette infiltrazioni mafiose, oltre a produrre il mantenimento del commissariamento straordinario dell’ente, porta con sé altre conseguenze. La sezione civile del Tribunale di Vibo Valentia, infatti, assodato che il decreto di scioglimento resta in piedi, ha accolto la richiesta di incandidabilità avanzata dal ministero dell’Interno e dalla Prefettura di Vibo nei confronti dell’ex primo cittadino Vincenzo Varone, degli ex assessori Salvatore Cichello, Salvatore Vallone, Armando Mangone, Antonino Fogliaro, Vincenzo Nicolaci e Giuseppe Labate e dell’ex presidente del Consiglio comunale Giuseppe Bulzomì. La decisione, come detto, in virtù della normativa vigente, è, in pratica, conseguente allo scioglimento del civico consesso e comporta l’impossibilità per coloro che sono stati dichiarati incandidabili di poter partecipare a qualunque competizione elettorale. 

Preannunciando ricorso in Appello gli ex amministratori commentano in modo fortemente polemico la decisione del tribunale: «Una sentenza aberrante – la definisce l’ex sindaco – nei modi e nella sostanza. Di fatto non ci è stato consentito di difenderci attraverso la consegna delle carte in nostro possesso che dimostrano la falsità delle argomentazioni poste alla base dello scioglimento dalla Commissione d’accesso agli atti e dal prefetto del tempo Luisa Latella. In particolare –asserisce l’ex primo cittadino – non ci è stata data la possibilità di esibire certificati e carteggi che provano l’assenza di alcuni legami parentali addebitati agli amministratori e la bontà dell’operato della stessa amministrazione». Per la maggioranza che ha guidato il comune dal 2009 al 2012 «anche stavolta vengono riportatati fatti e situazioni falsi presi nella loto interezza dal quadro prefettizio, come l’imprenditore che ha eseguito lavori per conto dell’amministrazione dato per sposato con una donna legata ai clan, o l’appoggio palesemente inventato che un assessore avrebbe avuto da persone in odore di mafia in una frazione dove guarda caso ha ottenuto sì o no due o tre preferenze, o lo stravolgimento di fatti e situazioni sul comportamento dell’amministrazione nei confronti di ditte colpite da interdittive antimafia, o come nel caso dei dipendenti dell’ufficio tecnico definiti “pregiudicati per gravi reati”, o come nella gestione dei tributi, dove l’impegno è stato totale, ma viene detto l’esatto contrario». Varone, inoltre, lamenta che «mentre alcuni di noi sono stati distrattamente ascoltati, ad altri, nonostante la richiesta dei difensori, non è stato consentito neppure di esprimere le loro ragioni». Cosa ancor più grave per l’ex sindaco, è la sua personale posizione alla quale non serve che «nella relazione prefettizia non venga addebitato alcunché, sino al punto di riconoscere di avere operato costantemente sul fronte del rispetto della legalità e delle regole», visto che viene chiesta e accolta l’incandidabilità «poiché avrebbe subito l’imposizione della lista e della giunta, due affermazioni insensate, contenute nella relazione della commissione d’accesso, che cozzano – afferma Varone – con la verità storica degli eventi. Ma queste verità non sono state acquisite e sono state volutamente oscurate perché di ostacolo al disegno». 
Ribadendo, poi, la tesi per cui «tutto era già miseramente scontato, perché, dalle nostre parti, le decisioni prefettizie – sostengono – si accolgono e basta, perché l’ufficio territoriale del governo agisce sempre bene e nella sacre stanze nessuno sbaglia mai», Varone e soci ricordano la recente decisione del Tar Lazio e mettono in luce il contenuto di «una sentenza di poche pagine, dove tutte le argomentazioni e gli atti documentati prodotti dalla difesa non vengono neppure citati; una decisione sconcertante che invitiamo a leggere con attenzione in cui si afferma che per sciogliere un consiglio comunale non bisogna provare il condizionamento mafioso. Basta, come nel caso di Mileto, solo il velato sospetto perché si proceda». Preso atto, dunque, delle decisioni delle varie autorità giudiziarie l’ex maggioranza rilancia provocatoriamente con l’invito ad «un confronto pubblico civile e democratico tra l’ex sindaco Varone e un rappresentante del ministero degli Interni sul caso Mileto. Il luogo e l’ora del faccia a faccia per quanto ci riguarda potrà essere scelto dalla controparte. Il moderatore di comune accordo». Una proposta appunto provocatoria e suggestiva che, tuttavia, molto difficilmente avrà un seguito reale essendo una ipotesi che esula dall’organizzazione e dalle funzioni del sistema burocratico italiano.
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