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di PARIDE LEPORACE
Siamo giunti al punto decisivo. Da domani fino a lunedì pomeriggio si vota per quattro referendum che riguardano leggi approvate dal governo e che interessano tre temi che investono la vita di tutti: nucleare, acqua pubblica e giustizia. L’esito, come a molti è noto, si gioca sulla partecipazione e sul raggiungimento del quorum. Questa l’asticella numerica mentre quella politica contempla numerose questioni. Abbiamo scelto di schierarci a favore di questo risultato perché i temi referendari comunicano azione dal basso e partecipazione popolare su temi vitali. Nei comitati referendari è alta la presenza di coloro che agiscono per passione e non per mestiere o interesse personale. Fattori molto simili a quelli che hanno animato molti comitati civici che hanno trionfato nelle
recente amministrative in molte città italiane.
Anche in Basilicata la campagna referendaria e la partecipazione dei votanti peseranno non poco sull’aumento della sfera pubblica e sulla crescita di un’opinione pubblica più matura e consapevole.
Nel nostro appello a votare ci piace rivolgerci ai centomila lucani che il 23 novembre del 2003 in una domenica bella come il sole che ride marciarono sui 15 chilometri della 106 jonica formando la più grande catena umana del movimento antinucleare italiano.
Quel giorno, come in un vecchio ma straordinario film di Peter Sellers, risuonò e vinse il ruggito del topo. Nel giorno in cui ricorrevano i 13 anni del terremoto arrivava un sisma democratico che riattualizzava la storia locale. La Basilicata non era più piccola e schiacciata dal tallone di ferro del centralismo come qualche generale e qualche ministro avevano pensato di fare. Il popolo lucano con l’autodeterminazione partecipata e non violenta imponeva la decisione che sulla sua terra non c’era spazio per cimiteri di scorie nucleari seminando la pianta della moderna Basilicata. Per questo motivo scrivo a quei manifestanti. Scrivo a quei bambini e ragazzi, che forse domani per la prima volta entrano in un seggio e possono mettere in relazione quell’allegra passeggiata del 2003 con il loro voto del 2011. Mi rivolgo alle donne e agli uomini lucani che abbandonarono il loro lavoro e le campagne per difendere la loro terra. Scrivo agli anziani che da giovani avevano occupato le terre e che ritornarono a marciare a Scanzano per tenerle incontaminate da uno sviluppo e da un¹economia incompatibile con le nostre latitudini.
Domani serve il vostro voto per voi e per la Basilicata. Bisogna ricordare a
“lor signori” con un consenso vasto che non passarono allora e non passeranno in futuro senza il vostro consenso. A voi che avete occupato strade e che vi siate riscaldati ai bivacchi dei fuochi notturni spetta votare sì per difendere quel no alle scorie di quei giorni. Quei centomila cassarono il nome di Scanzano dal decreto 314 di un altro governo Berlusconi. La Basilicata aveva vinto per decisione popolare battendo le lobby. C’è urgente bisogno di tornare a quella democrazia diretta per affrontare le nuove sfide lucane e del Sud. Quel giorno a Scanzano c’erano anche calabresi, campani e pugliesi. Il meridione per non essere più questione deve essere unito. Siamo stati ben lieti di aver ospitato il
contributo attivo del presidente della Puglia, Nichi Vendola, che ritiene la
Basilicata anche terra sua in nome delle lotte di Scanzano e di Melfi. E a noi piace questa narrazione che tiene in piedi questo Sud che lotta e si utogoverna. Non ci può essere conflitto politico o gelosia con il nostro governatore De Filippo che 270477scrive ai sindaci (pretestuosa la polemica di chi dissente con questa giusta iniziativa) o con il giovane segretario del Pd, Roberto Speranza, che ha avuto un ruolo molto attivo nel far schierare il più grande partito d’opposizione nazionale sul 269666voto a favore dei quattro sì e non è un caso che Rosy Bindi ieri sera abbia concluso la campagna referendaria a Scanzano dove era stata presente in quelle vitali giornate. Ai centomila di Scanzano chiediamo anche di votare sì per i due quesiti dell’acqua: per motivi etici e politici, come ha ben compreso molta Chiesa lucana e nazionale. Il referendum ha il merito di aver aperto una discussione nazionale e locale. Ha scritto Guido Viale che bisogna trasformare “migliaia e migliaia di cittadini che hanno promosso o sostenuto la campagna referendaria nel referente obbligato di una nuova modalità di gestione delle risorse: bilanci trasparenti, dibattito pubblico sugli indirizzi a livelli quanto più decentrati, diritto di ispezione e controllo su tutti gli aspetti della gestione”. E la nuova modalità di gestione interessa tutta l’energia e i servizi e i beni pubblici che il partito-Regione ha diritto di gestire in modo produttivo ma non come tesoretto per i propri interessi ed egoismi.
Infine la giustizia. I centomila di Scanzano sanno bene come ragiona il cavaliere nero. Le scorie nucleari vanno dove decido io, per le mie questioni invece leggi ad personam per evitare il giusto processo. Non ho bisogno di molte parole. Questa è la democrazia di Berlusconi bocciata in tutto in mondo. L’Italia è stanca di questa diatriba. Domani si vota anche contro il premier che al seggio di Arcore non andrà differenziandosi politicamente dal presidente della Repubblica.
Lo spirito di Scanzano non appartiene solo a quel 23 novembre 2003.
Riportiamolo nelle urne e sarà nuovo viatico di quella moltitudine che seppe
così bene prendere in mano i propri destini. Noi ci speriamo.

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