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CAMIGLIATELLO SILANO (COSENZA) – «Il  primo passo è assumersi le proprie di responsabilità e, ciascuno nel proprio ruolo, fare il meglio possibile in maniera attiva, esercitando nella propria sfera di competenza, dalla più piccola alla più grande, con serietà e dedizione, una funzione anche di controllo per evitare fenomeni che poi spesso degenerano, ma che a volte si sarebbe potuto fermare sul nascere se i soggetti coinvolti avessero tenuto le antenne diritte».

Pensiero di un’intellettuale vero, di Aurelia Sole, eletta da pochi mesi Rettore dell’Università della Basilicata (prenderà possesso della carica il primo ottobre). Aurelia è una calabrese purosangue. Di Cosenza, ci tiene a dire.

Ha trascorso in agosto un periodo di vacanza e riposo nella nostra Sila, a Camigliatello, dove l’abbiamo incontrata.

Il nuovo prestigioso incarico non l’ha mutata e non ha cambiato il suo modo d’essere normale e, appunto, solare, caratteristiche che ne fanno uno di quegli intellettuali atipici per il nostro tempo.  

Figlia di un ferroviere e di una casalinga, sposata e con due figli, laureata nel 1984 all’Università degli Studi della Calabria, in Ingegneria Civile per la Difesa del Suolo e la Pianificazione Territoriale. «L’acqua, il territorio, il paesaggio e la natura, sono – dice -parte della mia vita, da sempre, come studioso e come ingegnere. Ma anche come persona che ama capire e prendersi cura dell’ambiente in cui vive. Amo leggere, l’arte e il cinema. Mi piace cucinare. Amo ascoltare le persone, più che parlare. Nella mia formazione ha svolto un ruolo molto importante l’impegno nel movimento femminista».

Dal 1986 lavora nell’Università della Basilicata. Dal 2006 Professore Ordinario di Costruzioni Idrauliche e Idrologia. Appena laureata ha iniziato l’attività scientifica in qualità di borsista presso l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato. Ha incrociato anche, fin da neolaureata, il mondo dell’impresa, le  sue metodiche, logiche e modalità di affrontare i problemi. Ha lavorato per circa due anni, fino al 1986, all’Intersiel (azienda del gruppo Iri-Finsiel) dove si è formata nel settore informatico. «L’università, però, è sempre stata l’approdo verso cui ho deciso di andare. Nel 1989 sono entrata come funzionario di elaborazione dati presso il Centro Interfacoltà per i Servizi Informatici e Telematici dell’Università della Basilicata. Ne sono stata poi direttore per un anno. Dal 1990 al 1999 sono stata ricercatrice; dal 2000 al 2006 professore di seconda fascia.

La mia attività di ricerca nel corso del tempo si è specializzata nel campo della valutazione del rischio idrologico-idraulico e dell’uso di strumenti di analisi spaziale del territorio. Dal 2007 al 2012 sono stata direttore del Dipartimento di Ingegneria e Fisica dell’Ambiente; dal 2009 al 2012 presidente del Collegio dei Direttori dell’Università della Basilicata. Dal 2003 al 2006 sono stata componente della Giunta – con funzioni di direttore vicario – del Centro di Ricerca Interuniversitario in Monitoraggio Ambientale (Cima)».

Dal 2012  coordinatore del Dottorato di ricerca in Metodi e Tecnologie per il Monitoraggio Ambientale. Attualmente Presidente della Commissione Didattica e Paritetica della Scuola di Ingegneria; responsabile del Laboratorio di Sistemi Informativi Geografici e modelli di valutazione del rischio idraulico e coordinatore dell’attività didattica e di ricerca. Dal 2013  Prorettore alla didattica e progetti di internazionalizzazione dei corsi di studio. Dal 2013 coordinatore del collegio docenti del Dottorato di Ricerca in Ingegneria per l’Innovazione e lo Sviluppo Sostenibile, attivo presso l’Università della Basilicata. È autrice di circa 100 pubblicazioni scientifiche.

Allora, cara Aurelia, tu tra Calabria e Basilicata, come vivi questo rapporto?

«Naturalmente quello che mi lega alla Basilicata è un rapporto molto intenso. Iniziato, molti anni fa, tutto sul piano professionale e scientifico, in un certo senso in modo neutro.

Ero una giovane ricercatrice che aveva in testa principalmente le questioni legate al mondo universitario, ricerca, appunto, e didattica. Ero in una giovane Università del sud ma mi consideravo parte di quella comunità nazionale e internazionale che è la comunità scientifica universitaria.

Del resto ero convinta, e lo sono tuttora, che proprio questo continua ad essere il valore più profondo dell’istituzione universitaria – come ricordava all’inaugurazione dello scorso anno accademico dell’università di Bologna, Umberto Eco nella sua lectio magistralis – essere una comunità aperta e cosmopolita, contro le varie idee di chiusure e campanilismi molto diffuse in questi anni.

Negli anni, in maniera lenta, ma inesorabile, è cresciuto un sentimento diverso, un attaccamento alla Basilicata anche di tipo affettivo. Ai suoi luoghi, alle sue atmosfere. Poi c’è da aggiungere che ovviamente passando molto del mio tempo in quella terra ho maturato anche legami amicali e professionali, molto forti. Semplicemente il mio viaggiare tra queste due terre così contigue, inoltre, ogni volta mi dà modo di riflettere sulle distanze che sono maturate tra di esse.

Basti pensare alla cura del paesaggio. Quando si lascia la Calabria e si entra in Basilicata, si lascia alle spalle un paesaggio spesso degradato a favore di un paesaggio meno devastato, per certi versi antico, dove l’incidenza dell’urbanizzazione selvaggia e diffusa è decisamente minore. E questo, evidentemente costituisce un elemento di grande bellezza di questa terra. Questa condizione in Calabria sopravvive solo in alcuni punti, come nella mia amata Sila.

E in ogni caso oggi le due identità tendono a confondersi in me. Mi sento proprio una calabro-lucana. E così infatti mi prendono un po’ in giro i miei amici e la mia famiglia, anche in relazione al numero di chilometri che faccio ogni anno.

Cosa sono Cosenza e la Calabria per te?

«Sono la mia casa, la mia famiglia, i miei amici. L’università in cui ho studiato. Il posto in cui torno dopo ogni viaggio. Dunque una parte indissolubile di me.

Ma Cosenza è anche una città di cui sento tutte le contraddizioni. È una città, ma sarebbe meglio dire un’area urbana, piena di possibilità – se penso ad esempio alla sua Università, ma non solo – ma che continuamente sembra arrancare di fronte a mali che sembrano inestirpabili: chiusure, provincialismi, diffidenze, mancanza di capacità di collaborazione, difficoltà a creare reti positive, a creare legami tra i punti di qualità (in tutti i settori) che operano spesso ciascuno in totale solitudine.

La Calabria poi, cambiando scala, è una specie di mostro dalle molte teste. Ha le stesse contraddizioni che dicevo prima, immerse in un contesto che presenta sprazzi di bellezza struggente ma affondati, circondati, assediati, in molti casi , da un disperante abbandono e degrado. In un clima diffuso di pessimismo cinico e senza speranza».

E la Basilicata?

«La Basilicata è una terra bella, è il luogo in cui lavoro, in cui ho trovato amici, accoglienza, rispetto, disponibilità. È il posto che conosco meglio dal punto di vista professionale, e in cui sono a contatto con tanti giovani preparati e con molta voglia di fare. Condizione, quest’ultima, che, ovviamente, appartiene anche a molti giovani calabresi che vivono e studiano nelle università della regione e non solo.

La Basilicata è la terra che negli anni ho visto cambiare, migliorare lentamente ma costantemente. Passo dopo passo. Con tenacia e serietà i lucani sono riusciti a uscire da una sorta di condizione di minorità in cui erano collocati anche sul piano simbolico, per diventare una giovane terra, dinamica, seria e con punte di estrema qualità.

Penso a quello che è diventata Matera. Che, infatti, legittimamente si è potuta candidare a capitale europea della cultura per il 2019. Ovviamente spero che questo risultato possa essere raggiunto (e naturalmente continueremo a lavorare come università, con le altre istituzioni perché questo possa accadere). È forse utile aggiungere che questo sarebbe un risultato straordinario, per la città, per la regione ma direi per tutto un certo tipo di sud, che finora è stato meno protagonista, su questo piano, della storia italiana.

In Calabria purtroppo non abbiamo nessun esempio paragonabile. L’università della Basilicata è stata uno dei fattori di questa crescita. E naturalmente aver partecipato a questo processo, fin dalla sua nascita, è stata per me un’esperienza entusiasmante e di cui sono molto fiera».

Essere rettore: come vivi questo status professionale in rapporto alle tue scelte di vita?

«Saprò dire qualcosa di più preciso dopo la nomina effettiva, e dunque dopo l’avvio concreto del mandato. Certamente posso dire di avere ormai una certa esperienza di distanze, di tempi condivisi, di relazioni distribuite nel tempo e nello spazio, diciamo così. Da oltre trent’anni vivo in questo modo. So naturalmente che adesso sarà tutto un po’ più impegnativo.

Ma so anche che la mia famiglia, ad esempio, che sin dal primo momento ha condiviso tutte le scelte fatte, come sempre sarà al mio fianco, pur nel rispetto, nella totale autonomia e nella discrezione che ci siamo sempre dati come spazio di relazione.

Noi donne, mi tocca ricordarlo, siamo impegnate sempre a subire l’esistenza di piani diversi di relazione, di compiti, di rappresentazioni che dobbiamo tenere insieme in modo sperabilmente coerente. Diciamo che siamo allenate. Il ruolo di Rettore sarà un altro tassello di questo mosaico, certamente il più importante, il più invasivo e carico di responsabilità che forse costringe a cambiare scala di rappresentazione di sé. Ma credo che anche in questo caso semplicità, chiarezza, dialogo, frontalità siano le condizioni per affrontare sfide e problemi che attendono me e la mia Università. Ma, soprattutto, avendo ben chiaro che un’istituzione come l’Università della Basilicata ha dentro di sé tutte le competenze, le qualità e le risorse, a cominciare da quelle umane, per superare il difficile periodo che stiamo attraversando insieme a tutta l’Università italiana.  Questa convinzione mi ha dato la forza di candidarmi e naturalmente, di affrontare il nuovo compito che mi aspetta, con convinzione e fiducia».

Come possono gli intellettuali operare per cercare di cambiare la condizione delle due regioni ?

«Mi porrei questa domanda allargandola al concetto di “classi dirigenti” in senso generale e diffuso, piuttosto che esclusivamente di intellettuali. Perché troppi pur occupando posti di responsabilità in vari campi rimandano ad altri, soluzioni o cambiamenti.

Dobbiamo riprendere il filo di un ragionamento che riguarda il sistema della responsabilità nel quadro della società in cui viviamo e della sua nuova complessità.

Il concetto di intellettuale, in questo senso, mi sembra che rimandi ad una figura solitaria insufficiente ad interpretare il caos del nostro tempo, ma anche la sua intrinseca vitalità.

Per procedere a un’analisi aggiornata e ragionevole della società contemporanea, per poi produrre qualche ipotesi di cambiamento, è necessario ogni volta ricomporre il quadro dei saperi e dei problemi in cui viviamo, che è estremamente frammentato complesso e interdisciplinare. Dunque servono saperi e contributi diversi. Per approdare a una qualche forma di sintesi e di proposta serve un nuovo modo di concepire il confronto e il lavoro di equipe, in cui è necessario fissare metodi e spazi nuovi per la riflessione.

Poi c’è una dimensione etica della questione, affrontare un problema, analizzarlo, e identificare una soluzione presuppone una filiera in cui tutti i soggetti remano nella stessa direzione.

Le nostre società, quelle meridionali in particolare, sembrano attraversate continuamente da pulsioni divergenti, che spesso non lavorano esplicitamente e alla luce del sole. Ho impressione che questo problema, forse, in Calabria sia maggiore che in Basilicata.

E dunque il vero nodo dal mio punto di vista riguarda innanzitutto la serietà dei soggetti in campo in un certo processo, la loro onestà, la loro effettiva intenzione di giungere a una soluzione per il bene collettivo.

Dunque il primo passo è assumersi le proprie di responsabilità, e ciascuno nel proprio ruolo, fare il meglio possibile, in maniera attiva, esercitando nella propria sfera di competenza, dalla più piccola alla più grande, con serietà e dedizione, una funzione anche di controllo per evitare fenomeni che poi spesso degenerano, ma che a volte si sarebbe potuto fermare sul nascere se i soggetti coinvolti avessero tenuto le antenne diritte.

Quella che viviamo è, come si dice giustamente, una crisi di sistema, e se ne esce solo con competenza, serietà e onestà. E molto lavoro. E naturalmente una nuova visione generale dell’insieme.

Tessere la tela delle relazioni positive, creare le condizioni perché le competenze si possano esprimere, fare spazio a nuove energie, credo siano, innanzitutto, il vero compito di un classe dirigente all’altezza della situazione».

Quali differenze ci sono secondo te tra le due regioni?

«Il discorso sarebbe molto lungo e soprattutto per quello che riguarda la Calabria non dispongo di molti elementi per tentare di definire una risposta adeguata. E poi da cosa partire, dall’economia, dalla cultura, dai tratti caratteriali? Oppure dai paesaggi come dicevo prima? 

Alcune cose posso però dirle e riguardano il mio specifico settore di lavoro, soprattutto ovviamente in relazione alla Basilicata.

Mi sembra molto importante, ad esempio, che la regione Basilicata, a seguito dei tagli operati dal governo, abbia avuto la lungimiranza di varare una legge regionale innovativa, di sostegno pluriennale al nostro ateneo, che ci ha consentito di avere un indice di sostenibilità economico-finanziaria tra i più alti d’Italia, e che ha già condotto alla stipula, nell’agosto del 2011, di un accordo di programma Miur-Unibas-Regione. Questo lo considero un ottimo modo di operare e fare scelte da parte di una classe dirigente».

Pensi di tornare in Calabria?

«Come si dovrebbe evincere dalle considerazioni precedenti, non sono mai andata interamente via. Andare e tornare per me è una condizione strutturale.

Se la domanda invece riguarda la possibilità di tornare a lavorare in Calabria, questo naturalmente non è ovviamente all’ordine del giorno. Sono alla vigilia di un impegno che per un periodo abbastanza lungo mi vedrà totalmente immersa nella mia università. Se invece  mi chiedi se penso di mettere in campo iniziative, innanzitutto di tipo istituzionale con la Calabria, con le Università, enti, imprese, questo certamente sì. Già la nostra Università ha diverse collaborazioni in questo senso. E naturalmente sono favorevole a incrementare questi legami».

Gli amici: come ti hanno accolto in Basilicata? E quando torni in Calabria?

«La sfera amicale è, per mia fortuna, particolarmente ampia e presente, intensa e ricca. E in questo senso non distinguo più Basilicata o Calabria. Sono immersa in un clima di affetto e che, in particolare in occasione della mia elezione, ho sentito molto estesa. Questa è stata l’occasione, inoltre, per l’eco che ha avuto, di ritrovare molti amici sparsi per il mondo, che si sono fatti vivi, e che ho rivisto dopo molti anni. In questa sfera, forse, essere meridionale è veramente una gran bella cosa».

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