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di NUNZIO FESTA
SCATTI da quel che resta del delirio. Nel mese di agosto scorso, il foto-reporter Leonardo Antonio Autera è stato in Germania. Ad Auschwitz. Dove ha messo nell’obiettivo della sua macchina il dramma consumato dal tempo. “In quest’inferno – testimonia Leonardo Autera, di recente rientrato da altri reportage fotografici – si sente tutta la sostanza dell’inferno dantesco”. E ripete la frase, rileggendo i suoi stessi scatti. Che gli riportano nella mente quanto immortalato alcuni mesi fa. Fino a terminare con queste parole emblematiche: “ma come vedi tutto passa per l’evento che l’uomo non potrà mai capire”. Aggiungendoci un’ulteriore certezza, “e i malati di mente sono in continua moltiplicazione”. Noi aggiungeremo, invece, semplicemente che i pazzi patentati e malati di mente che seminano terrore di certo esistono ancora e certamente esistono ancora anche le persone che colpite da malattie mentali sono messe ai margini. Sempre. Forse questo, dopo aver messo al bando fumi di retorica che possono lasciare nulla, si dovrebbe continuamente e sempre di più ricordare nelle celebrazioni e dentro le manifestazioni della “Giornata della Memoria”. Perché, “la Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, ‘Giorno della Memoria’, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”. Quando i sovietici aprirono i cancelli di Auschwitz, dove in precedenza i nazisti si erano ritirati portando con loro tutti i prigionieri abili, il mondo scoprì il volto dei torturati e gli strumenti di tortura. La morte mostrata dagli scatti di Autera, anche solo quando di mira prende quelle che apparentemente sembrano quattro legna, sono lo stesso delirio di quell’epoca così vicina alla nostra. Il silenzio generale di allora, infatti, aveva agguanto il mondo annichilito del pezzetto di Novecento più drammatico che si sia conosciuto. Le gite di ogni anno presso gli spazi della tragedia riempiono un nuovo e più fresco silenzio, quando non sono capaci di dare eco al grido di dolore che è stato. E che pure in futuro ci sarà. Persino negli angoli privi di persone. I tutte le nuove celle di questa vita.

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