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«INESORABILE giunge la parola fine ad un tema che ci ha molto appassionato negli ultimi anni e che ha appassionato anche la comunità di Matera 2019, se è vero che uno degli obiettivi delal candidatura a Capitale europea della Cultura è la riqualificazione dei quartieri moderni: ma rischia di essere solo propaganda».

L’allarme, l’ultimo, quasi rassegnato è dell’architetto  materano Gigi Acito e riguarda il mai concluso dibattito sui balconi di Spine bianche, il rione che vide tra i suoi padri proprio Carlo Ayomonino, l’urbanista che trasformò  Matera in una vera e propria fucìna per l’architettura italiana del dopoguerra.

Acito ha svolto una vera e propria battaglia  di difesa dei valori che consentirono la trasformazione di una città a forte vocazione contadina in una comunità sviluppata nei nuovi quartieri nati sul Piano, dopo lo sgombero dai Sassi.

Nel dibattito sviluppato negli anni successivi, intervenne lo stesso Aymonino che, intervistato dalla rivista Siti, nel 2003, riferendosi all’ipotesi dell’inserimento dei balconi negli edifici disse: « Non mi spaventa di certo la possibilità di una ibridazione, anche sul piano del linguaggio, di un’architettura contemporanea. Ma bisogna essere chiari fino in fondo su un concetto, che ha poi delle conseguenze molto evidenti sulla procedura da seguire: nulla di serio può essere fatto senza un progetto unitario, ossia, senza un esame critico e un esercizio progettuale unitario fatto da un architetto che si assuma tutte le responsabilità del caso per l’intero quartiere. Poi bisognerà mettere in campo un’onesta capacità critica per valutare l’opportunità di fare. Guai se si lasciano liberi i singoli di manipolare le strutture edilizie a loro piacimento. Io sono già passato da questa esperienza (Foggia) con risultati catastrofici. Ossia, con la perdita di identità del pezzo di architettura costruita».

Temi che Gigi Acito riprende oggi, commentando l’evoluzione negativa della vicenda: «Caratteristica architettonica prevalente dell’edilizia del quartiere Spine Bianche è infatti lo scheletro in cemento armato messo in evidenza sull’impaginazione muraria, che rivela un suo espressionismo strutturale in linea con quanto andava sviluppandosi in Italia in quel periodo.

Lo scheletro, esibito in facciata, disegna “una pilastrata all’italiana” con luci limitate, senza sbalzi, con verande incassate e con aperture di piccole dimensioni e finestre alla “romana”.

Tutti questi elementi strutturali e di finitura, interpretati in chiave figurativa, giocano un importante ruolo nella configurazione della facciata, di sobrio e controllato realismo.

Lo stesso avviene anche per tutti quegli elementi, muri, recinzioni, sistemazioni a terra, spazi per il gioco e per la vita sociale, che disegnano gli spazi esterni e contribuiscono a definire l’aspetto complessivo di questo bel quartiere».

Il sì dell’amministrazione comunale alla fase di liberalizzazione per la costruzione dei balconi assume, per Acito, un valore da non sottovalutare: «Un perfido e interessato populismo, mascherato da nuova sociologia urbana, spinge ed esaspera una esigenza espressa da molti (ma non tutti) abitanti del quartiere e consente la realizzazione di nuovi balconi “attaccati” a sbalzo alla struttura in cemento armato esistente, realizzata oltre 60 anni fa. Spine Bianche non è mai stato un monumento “alla classe”, ma una parte di città “formalmente compiuta”, dignitosamente inglobata nel tessuto edilizio cittadino, esempio generatore, possibilmente, da imitare ed estendere.

La generazione “trasferita” dai Sassi ormai non c’è quasi più».

Per l’architetto materano è il segno di una sconfitta più che evidente, tanto da chiedersi: «A cosa sono serviti gli appelli, nè i progetti degli studenti di architettura dell’Università della Basilicata, tesi a indicare una strada alternativa e più rispettosa dei caratteri tipologici e architettonici degli edifici come lo stesso Aymonino, progettista del quartiere aveva suggerito».  Spine Bianche come dichiara Gigi Acito è considerato “Zona omogenea A”, ovvero centro storico. «Ma se i cittadini di altre parti della città, chiedessero di realizzare balconi, troverebbero gli stessi sostenitori a dare battaglia? Le nuove generazioni – prosegue Acito – sono rappresentate da cittadini che fortunatamente vivono  in un quartiere “riscattato”  non solo dalla condizione di subalternità, ma anche nel titolo di proprietà e che avrebbero oggi diritto ad essere considerati “cittadini culturali” anche loro, consapevoli del bene che custodiscono.

Per questo andavano adeguatamente supportati ed aiutati a risolvere diversamente il problema dei balconi nel rispetto di regole, norme e buon senso.

Al contrario sono stati trattati da “classe”, appunto, a cui è improponibile e politicamente scorretto negare una licenza per un progetto di balcone sbagliato nella sua concezione architettonica e soprattutto  statica (cosa che negli ultimi tempi avrebbe dovuto far riflettere)».  Difficile rinunciare ad una battaglia che avrebbe potuto avere esiti diversi e che rischia concretamente di doversi piegare alle leggi, in barba all’eredità di padri dell’architettura italiana.

matera@luedi.it

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