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POTENZA – Per i pm di Catanzaro un amico imprenditore gli avrebbe chiesto di fare il possibile per aiutare quel magistrato. Egidio Digilio ha faticato un po’ prima di riconoscersi nell’«esponente politico» indicato nel capo d’imputazione che vede il sostituto procuratore Gaetano Bonomi e il patron di Serramarina srl, Ugo Barchiesi, stretti in un abbraccio corruttivo. Il primo avrebbe promesso di fare «tante piccole cose» per riaprire le indagini partite dalle denunce del primo, che aveva chiesto 40milioni di euro di danni ai militari del Gico, che avevano distrutto la sua azienda tenendola sotto sequestro per tre anni sulla base di accuse semplicemente false. Il secondo per ricompensa si sarebbe attivato attraverso i politici di sua conoscenza per favorire il trasferimento di Bonomi in un’altra sede.
Il senatore conosce entrambi, anche se il magistrato molto meno. Titillando le corde giuste i ricordi cominciano ad affiorare.
«Barchiesi non mi chiese nulla. Bonomi mi chiese di venire a Roma e l’ho messo in contatto. Tutto qua. Come siano andate le cose poi non lo so. Lo feci parlare con il presidente della Camera, Gianfranco Fini, anche se con Fini non si è mai incontrato perchè quel giorno si era dovuto assentare. L’ho presentato al capo della sua segreteria politica, si sono chiusi nella stanza e hanno parlato tra di loro. Credo che sia anche tutto registrato alla Camera perchè non l’ho fatto entrare di contrabbando. Ma io ho portato anche tanta altra gente: magistrati, ufficiali dei carabinieri, imprenditori. Lucani. Questa è la politica che facciamo noi. Che cos’è, un reato?»
Gli inquirenti scrivono con precisione che ci sarebbe stato un «interessamento» di Barchiesi perchè Bonomi, grazie ai suoi ganci politici, venisse collocato «fuori del ruolo organico della Magistratura presso l’ispettorato generale del Ministero della giustizia», dove aveva già prestato servizio per 10 anni prima di arrivare a Potenza, o venisse inserito «nella successiva commissione per lo svolgimento del concorso per uditore giudiziario». Resta quindi il dubbio che qualcosa sia potuta succedere dopo l’incontro romano propiziato da Digilio tra Bonomi e il capo della segreteria di Fini. Il senatore su questo «non ricorda».
«Sono certo che l’incontro non me l’ha chiesto Barchiesi, che è un mio amico anche se adesso è caduto in disgrazia. Lo conosco da quarant’anni. Lui da giovane viveva in Basilicata. Se n’è andato senza padre e ha fatto fortuna. Il suo errore è stato scegliere di tornare. Però non mi ricordo se abbiamo parlato di questa cosa di Bonomi dopo quell’incontro. Non è stato nemmeno lui a presentarmelo. L’ho incontrato vicino a un bar la prima volta, a Potenza. E’ stato lui attraverso un amico comune a farsi avanti. Siamo andati a cena una volta non mi ricordo dove e mi ha detto subito che voleva parlare con il partito, così l’ho portato alla Camera. Senza altri tramiti. Mi disse che aveva urgente bisogno di parlare con Fini e gli risposi che non c’era nessun tipo problema, lo dissi a Fini ma quel giorno non c’era e l’ho fatto incontrate con il capo della segreteria. Lo fece accomodare in una stanza, mi dissero di rimanere ma io solitamente quando sono queste cose me ne esco fuori. Quando sento pettegolezzi mi allontano. Lo so com’è il mondo fuori. Ho cominciato attacchinando manifesti. Se poi Barchiesi si è vantato, mi ha coinvolto dicendo: “Intervengo io, faccio pure qualche telefonata di aiuto” onestamente non me lo ricordo. Lui è fatto così: è un po’ leggero. Ma non rinnego di essergli amico».

lama

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