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La Basilicata sarà anche,  grazie al petrolio, “strategica ed essenziale per l’Italia”, come ha detto ieri il ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi. Ma quanto è strategico, in termini di sviluppo, il petrolio per la Basilicata? Il dibattito riguarda soltanto fino a un certo punto la Lucania. E, del resto, gli argomenti che puntualmente si tirano in ballo a sostegno dell’opportunità o meno di fondare sul petrolio la crescita di una regione o di un paese, difficilmente possono essere circoscritti in un ambito locale.  Tanto più se si considera che essi non tengono mai conto del fatto che  a determinare il successo e la durata di un modo di produzione e quindi di una fonte energetica sono fattori  che risultano il più delle volte invisibili ai contemporanei, politici ed economisti compresi; ed è noto che, prima di imporsi sul mercato, alcune fonti di energia che oggi ci appaiono indispensabili sono state ignorate per millenni.

Se dunque è ancora presto per dire che il petrolio, di cui ormai da decenni si vaticina la fine, smetterà, nei prossimi decenni, di essere il motore dello sviluppo mondiale, non si può neanche escludere che esso finirà per essere sostituito da fonti d’energia che saranno giudicate via via più convenienti e à la page. O che ciò non stia già avvenendo. Una piccola rivoluzione, in questo campo, è d’altra parte, già in corso: e a farsene protagoniste sono le case automobilistiche che ormai da anni stanno cercando di riconvertire la loro produzione in senso, diciamo così, ecologista  e ciò non soltanto perché aumentano i vincoli imposti dagli organismi mondiali di governo, ma anche per la diffusione esponenziale di una sensibilità “politicamente corretta” sui temi dell’ambiente. Ma non sempre è facile distinguere, in questi casi, dove finisca l’interesse dell’industria a riconvertirsi a una determinata produzione e dove cominci  quello della comunità: ovvero chi sia chi a determinare che cosa, che è un modo più elegante di chiedersi se sia nato prima l’uovo o o la gallina.

 Che cosa vorrà dire, ad esempio, che oggi l’Italia è il Paese europeo in cui circola il più alto numero di vetture a gas naturale? E che, secondo una recente ricerca, la diffusione del metano è destinata a crescere ancora? Ad occuparsene tra gli altri, in un’inchiesta pubblicata ieri sul quotidiano cattolico Avvenire è Alberto Caprotti: il quale fa notare che “nel 2013 le immatricolazioni in questo segmento hanno messo a segno un più 26 per cento sul 2012”, e che “negli ultimi 4 anni si è assistito a una crescita esponenziale” di questo mercato, essendosi superata la soglia degli 846 mila veicoli circolanti e che il consumo del metano è aumentato, nello stesso periodo, dell’8,3 per cento. In realtà, la ragione di un tale exploit è chiara: ed è una ragione, come sempre, economica. Non soltanto, come vien fatto notare, per il prezzo del carburante in questione (1 euro al kg per il metano, che equivale a 1,5 litri di benzina, contro gli 1,74 euro per un litro di benzina):   l’acquisto di una vettura a metano, infatti, dà diritto all’esenzione (o alla riduzione) del pagamento della tassa di circolazione concessa da alcune regioni, all’ ingresso gratuito, talvolta, in aree a traffico limitato.

Un successo tanto più rilevante se si considera (secondo un’ indagine presentata a Oil&nonoil-S&TC 2014)  la “generale ignoranza su questa tipologia di carburante da parte dell’ opinione pubblica” e il fatto che molti consumatori giudicano complicato l’approvigionamento (nonostante l’aumento dei distributori) o, ancora, sono scoraggiati dal maggior prezzo delle vetture alimentate a metano: pochi infatti distinguono il metano da altre tipologie di carburante e anzi spesso lo confondono e con il Gpl.

Ormai, rileva la ricerca, oltre alla Fiat, azienda leader in questo campo – “quasi tutti i marchi hanno in listino almeno un modello a benzina più metano. E un colosso come Volkswagen ha appena messo sul mercato la Golf a metano – variante a gas dell’ auto più venduta in Europa -. E in tutte le moderne versioni delle auto a gas la trasformazione è perfettamente integrata e non comporta rinunce in termini di dotazioni rispetto alle “sorelle” a benzina o diesel”.

Diverso invece, fa notare Caprotti, “il discorso relativo al costo della manuntenzione e alle prestazioni: imparagonabili (in negativo) tra auto alimentate a gas naturale e a carburanti tradizionali”. Per non parlare del problema ancora irrisolto della rete di distribuzione, “assolutamente non omogenea sul territorio e quasi inesistente in autostrada, al punto da rendere improbabili i lunghi viaggi, anche a causa della ridotta autonomia di queste vetture compresa tra i 250 e i 400 chilometri sommando le riserve delle due modalità disponibili a bordo (gas+benzina)”. Metano, ad esempio, è parola quasi sconosciuta per chi abita in Basilicata (sette distributori) o in Calabria (nove) e lo è del tutto in una regione come la Sardegna (zero distributori).

E tuttavia, continua Caprotti, a confermare “che un ruolo di rilievo nell’ alimentare le auto di domani l’ avrà pure il metano sono diversi studi, come quello di Lux Research che stima in 7,5 milioni, contro i 6,6 attuali, il parco veicoli a metano dei sette maggiori mercati mondiali nel 2020, cifra che arriverebbe a quota 10 milioni includendo i Paesi emergenti, in particolare del Sud America. Un numero ancora limitato rispetto al miliardo di veicoli presenti nel mondo, ma destinato a crescere progressivamente grazie anche all’ incremento dei distributori. A favore del gas naturale gioca la possibilità di produrlo in modo naturale o artificiale, di fatto, rendendolo inesauribile o, in altre parole, “rinnovabile”. Il metano, infatti, può essere ricavato anche dal biogas generato dalla decomposizione organica di scarti alimentari e agricoli o dai reflui zootecnici dando vita al biometano”.

D’altra parte, lo sviluppo della mobilità a metano ha dalla sua la montante sensibilità ambientalista nel globo. A leggere il Libro Bianco sul Metano, si scopre infatti che “un’ auto alimentata a gas naturale ha, rispetto al corrispettivo modello a benzina, emissioni inferiori del 18 per cento per l’anidiride carbonica, del 72 per cento per gli ossidi di azoto, del 75 per cento, per il monossido di carbonio, dell’ 82 per cento per gli idrocarburi incombusti e dell’ 88 per cento per l’ ozono”. E se questi sono i numeri è chiaro che la partita tra le automobili a benzina e quelle ad energia naturale ha già un vincitore. Indovinate chi.

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