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di Paride Leporace
Il voto di ieri cambia di molto l’anomalia italiana, forse come accadde con
gli esiti dei ballottaggi del 1993 che videro affermarsi Rutelli a Roma
contro Fini, Bassolino a Napoli contro la Mussolini, il leghista Formentini
a Milano contro Dalla Chiesa.
Si badi bene, un cambio di scenario e non delle forze in campo sullo scacchiere nazionale.
Milano e Napoli sono due capitali in cui si gioca anche l’unità del Paese.
La prima è capitale morale ed economica, ma in questi anni era stata anche il centro vitale del berlusconismo alleato della Lega che subisce ieri la più pesante sconfitta della sua non breve stagione. Napoli è la capitale del Mezzogiorno e identifica buona parte della Questione meridionale e del divario geografico nazionale. Se cambia Napoli di solito cambia il Sud. Non ho sfere di cristallo per sapere cosa accadrà ma è evidente quello che è accaduto. Ha vinto la partecipazione dal basso con un protagonismo dei cittadini che esprimendo un forte capitale sociale con il voto hanno punito il berlusconismo più deteriore, la malapolitica, la vita virtuale ricreata dalla comunicazione, la malavita, i sistemi di ogni colore che campano sulla politica e la vogliono imporre ai cittadini. Vincono sindaci scelti dal popolo e non dagli apparati (significativo quello che accade anche in una città di destra come Cagliari e a Trieste). Pisapia, un garantista comunista (che comunque è una cultura politica italiana) si è cimentato nelle primarie battendo candidati che hanno successivamente aderito lealmente al suo programma che dopo anni ha infiammato i democratici milanesi ma anche i moderati locali. Un Pd finalmente rivoluzionario nel suo riformismo, attraverso soprattutto Boeri e Civati, ha contribuito ad attrarre i consensi di una borghesia bianca e rossa che ha punito una destra arrogante e a volte anche rozza e incivile che ha fatto diventare la campagna elettorale di
Letizia Moratti una grande barzelletta buona per i comici.
A Napoli il trionfo di Luigi De Magistris ha letture diverse. Da tempi non sospetti scrivo che l’ex pm non ha brillato con il codice ma si dimostra un ottimo politico. Mi aiuta nelle definizioni il dialogo di specie con Ugo Maria Tassinari, buon conoscitore di Napoli e scevro da simpatie giustizialiste. La narrazione politica di De Magistris ha battuto il bassolinismo, il Pd delle primarie cinesi, le camorre di Cosentino, le bugie di Berlusconi e la politica di mestiere. Ha vinto un politico postmoderno, postideologico, massmediatico, ultrapopulista capace di ridare entusiasmo a sinistra e di titillare il peronismo della destra napoletana cui si è aggiunto il voto di protesta di Fli e Terzo polo, il tutto sovrastato da una grande richiesta di legalità. E’ un blues partenopeo contaminato, ora chiamato a suonare per il governo di una metropoli complessa e plurale.
Il governatore lucano, Vito De Filippo, ha mostrato fiuto verso la direzione
del vento e ha annunciato un endorsment inatteso e non privo di anomalie nell’analisi delle inchieste che lo hanno visto come indagato in Basilicata.
Il dato ci porta dalle nostre parti. Il partito-regione ha quasi giocato contro se stesso nelle sfide di Melfi e Pisticci. La destra è fuori gioco e non vede luce. Nella città federiciana i socialisti consolidano la tradizione nel loro naturale schieramento. Si riduce di molto il navazismo e va in soffitta l’entrismo foliniano che ha collaborato molto con questa esperienza civica prima di abbandonarla al suo destino. Il successo di Melfi non è stato deciso a Potenza ma in città grazie ad un progetto di lungo respiro ben condotto da Luigi Simonetti e da Arduino Lospinoso che hanno lavorato nella giusta direzione.
A Pisticci è accaduto il pasticcio. L’ipertrofico partito-Regione si è cannibalizzato in una balcanizzazione molto pericolosa. Le parole del segretario cittadino del Pd che accompagnano le sue dimissioni ne enucleano pericolosi sviluppi e fanno cadere la celebre asticella di Speranza in un salto completamente sbagliato. Perde il segretario regionale Speranza (in foto). E’ lui lo sconfitto di questa tornata. Debole nella decisione e nell’imposizione di regole e candidati. A Speranza però riconosciamo un buon risultato: quello di aver contribuito in questo turno elettorale a far eleggere classe dirigente molto giovane e motivata nei diversi comuni dove si è votato tra primo e secondo turno. Ma questa rischia di essere una vittoria di Pirro, perché Speranza può depotenziare l’autonomia di questi giovani amministratori con scelte eterodirette. Speranza, che molto ascolta Antonio Luongo, cerca di non contentare nessuno dei grandi feudatari del Pd. L’effetto a catena va oltre il suo partito. A Pisticci tutte le formazioni sono divise e la governabilità sarà un rebus. Anche Benedetto, una sorta di Berlusconi di periferia, cade fragorosamente non venendo eletto in consiglio comunale sconfitto dal candidato della Mastrosimone, l’infermiere Renato Rago, molte sigle alle spalle e relazioni più corte dell’imprenditore che si è schierato con il sindaco vincente Di Trani. Pur non esistendo un’opposizione degna di questo nome, suona lo stesso un pericoloso campanello d’allarme per il partito-regione quasi mai sconfitto
dal berlusconismo. Segnalo che nella vicina Calabria si registra una controtendenza. I Loiero (buon alleato di De Filippo un tempo), gli Adamo e
i Bova , i Perugini hanno distrutto il Pd e il centrosinistra a causa dei loro egoismi e per la politica di mestiere. In Basilicata molto poggia sulle spalle di De Filippo che ad un anno dell’elezione non riesce a soddisfare le attese di riscatto riposte sul suo secondo mandato. Forte elettoralmente, senza avversari interni, amico di tutti i feudatari rischia paradossalmente però di finire in padella come il suo amico Bassolino, perché la forza di De Filippo è l’ossimoro: saper essere tutto e il contrario di tutto. Venerdì il Pd riunisce la sua direzione regionale. Vedremo quali saranno le analisi. La nostra è che, nell’immediatezza, la Basilicata deve saper giocare la partita dei referendum. Approfittiamo del momento per schierarci affermando che siamo per quattro Sì non ideologici senza se e senza ma su acqua, nucleare e conflitto d’interesse. Bisogna votare in massa, chiedendo politiche conseguenti allo spirito referendario. Mi riferisco in modo particolare alla gestione dell’acqua pubblica che non puo’ continuare ad essere il tesoretto della partitocrazia locale. Il resto poggia sulle gambe degli uomini e delle donne libere. Oltre i partiti e gli schieramenti la speranza (vogliamo ancora credere che nomen omen) è che anche in Basilicata si aprano percorsi originali di rivoluzionario riformismo che attivino condotte chiare e attuali che sappiano apprendere territorialmente la lezione di Milano, Napoli e Cagliari. Al popolo lucano l’ardua risposta.

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