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COSENZA – Avrebbe potuto godersi l’ovazione da parte della tifoseria e della famiglia Bergamini, e invece il deputato Franco Laratta, con un moto di onestà intellettuale ha voluto intervenire sulla vicenda del “gruppo zeta” per chiarire il senso dell’interrogazione parlamentare presentata insieme al collega di partito Alessandro Bratti sul trasferimento ad altra sede e altre funzioni di quattro carabinieri del nucleo investigativo di Cosenza che tra le varie attività avevano partecipato alle indagini sulla morte del calciatore di Ferrara. 

«Sulla nostra interrogazione – dice il deputato Pd – ho visto letture forzate. Il desiderio mio e quello del collega Bratti, amico della famiglia Bergamini, era ed è solo quello di ottenere verità e giustizia sulla morte del povero Denis. Ogni altra lettura è fuorviante e non corrisponde al nostro pensiero».

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Eppure il testo dell’interrogazione a risposta scritta presentata al ministro della Difesa è inequivocabile: «In spregio all’auspicato impulso alle indagini – si legge – dopo appena una settimana dal recente sollecito si è appreso che il 4 ottobre 2012 il comando legione carabinieri Calabria, su richiesta del comando provinciale di Cosenza, ha trasferito d’autorità tutti gli investigatori che si stavano occupando delle odierne indagini sul caso Bergamini, così per come risulta da un comunicato dell’Unione nazionale arma carabinieri, che ha sollevato “l’anomalia” del recentissimo trasferimento di alcuni carabinieri per questioni di contrasto con la diretta gerarchia”. 

Dunque, come leggere correttamente la vostra iniziativa?

«La nostra stima sull’Arma dei carabinieri non è mai stata messa in discussione. Tantomeno quella del comando provinciale. La magistratura di Castrovillari ha chiarito alcuni aspetti. Con l’Arma abbiamo parlato, per capire. Noi non intendevamo entrare nelle vicende che riguardano i carabinieri, ma solo capire. Capire, ad esempio, se quella decisione poteva provocare danni alle indagini, o se avesse un significato diverso rispetto al normale avvicendamenti del personale dell’Arma. Ma questa possibilità ci è stata esclusa; tant’è che le indagini sono alle conclusioni».

Oggi, alla luce degli suoi approfondimenti sulla vicenda del trasferimento, cosa può dire sull’indagine?

«Sul caso Bergamini siamo sicuri che a breve si arriverà a una conclusione che dovrebbe fare chiarezza. La procura della Repubblica di Castrovillari ha in mano gli elementi per dire una parola chiara e definitiva. Ora è il momento di scoprire la verità sulla quella tragica morte. Occorrono decisioni che facciano giustizia e mettano finalmente in luce la verità. Se così non fosse, noi ci batteremo sempre, e in tutte le sedi. E non lasceremo nulla di intentato. Io ho conosciuto personalmente la sorella di Denis: una signora splendida, molto dolce, ma determinata. Il collega Bratti è amico di famiglia e conosce la storia sin dal primo momento. Da tempo seguiamo il caso. È chiaro che saremo sempre più decisi a far emergere la verità». 

Nell’interrogazione si diceva «A prescindere dalle motivazioni poste alla base dei citati trasferimenti, come mai non si sia tenuto conto del fatto che detti militari stessero ancora svolgendo le attività sul complesso caso Bergamini, laddove il maturato bagaglio conoscitivo è indiscutibilmente essenziale per la migliore prosecuzione delle indagini, onde privilegiare il superiore interesse della giustizia e della ricerca della verità».

Ritiene, anche ora, che il trasferimento abbia potuto incidere in qualche modo sulla indagini?

«Come dicevo prima, e senza entrare nelle vicende interne dell’Arma, non credo che il trasferimento abbia potuto incidere sulle indagini. Che di fatto sono alla conclusione. La Procura ha un quadro chiaro davanti. L’Arma dei carabinieri continua a dare un insostituibile contributo all´affermazione della verità dei fatti».

Insieme a Bratti, è forse tra i pochi parlamentari a conoscere, soprattutto ora, i retroscena di questo giallo. Che idea si è fatta?

«Quanti errori e sottovalutazioni; quanta superficialità: indagini partite male e condotte peggio, almeno nella prima fase. Su quella morte c’è davvero da dire una parola definitiva. Perché è morto? Cosa in realtà è accaduto quel pomeriggio? Occorre fare chiarezza in modo definitivo. Che non si sia trattato di un suicidio sembra ormai certo. Vedremo le conclusioni delle indagini. Ma giustizia va fatta: non è possibile che dopo oltre 20 anni la famiglia di Bergamini non sappia la verità. Il suo ricordo è ancora vivo. C’è tanta gente, i tifosi, chi lo ha conosciuto che vuole e deve sapere la verità. Noi per questo ci batteremo. Non molliamo assolutamente».

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